I Promessi Sposi. Alessandro Manzoni
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Название: I Promessi Sposi

Автор: Alessandro Manzoni

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!… quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V’è saltato il grillo di maritarvi…

      – Che discorsi son questi, signor mio? – proruppe Renzo, con un volto tra l’attonito e l’adirato.

      – Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento.

      – In somma…

      – In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l’ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti.

      – Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?

      – Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet…

      – Le ho detto che non voglio latino.

      – Ma bisogna pur che vi spieghi…

      – Ma non le ha già fatte queste ricerche?

      – Non le ho fatte tutte, come avrei dovuto, vi dico.

      – Perché non le ha fatte a tempo? perché dirmi che tutto era finito? perché aspettare…

      – Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. Ho facilitato ogni cosa per servirvi più presto: ma… ma ora mi son venute… basta, so io.

      – E che vorrebbe ch’io facessi?

      – Che aveste pazienza per qualche giorno. Figliuol caro, qualche giorno non è poi l’eternità: abbiate pazienza.

      – Per quanto?

      «Siamo a buon porto», pensò fra sé don Abbondio; e, con un fare più manieroso che mai, – via, – disse: – in quindici giorni cercherò,… procurerò…

      – Quindici giorni! oh questa sì ch’è nuova! S’è fatto tutto ciò che ha voluto lei; s’è fissato il giorno; il giorno arriva; e ora lei mi viene a dire che aspetti quindici giorni! Quindici… – riprese poi, con voce più alta e stizzosa, stendendo il braccio, e battendo il pugno nell’aria; e chi sa qual diavoleria avrebbe attaccata a quel numero, se don Abbondio non l’avesse interrotto, prendendogli l’altra mano, con un’amorevolezza timida e premurosa: – via, via, non v’alterate, per amor del cielo. Vedrò, cercherò se, in una settimana…

      – E a Lucia che devo dire?

      – Ch’è stato un mio sbaglio.

      – E i discorsi del mondo?

      – Dite pure a tutti, che ho sbagliato io, per troppa furia, per troppo buon cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar meglio? via, per una settimana.

      – E poi, non ci sarà più altri impedimenti?

      – Quando vi dico…

      – Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga bene che, passata questa, non m’appagherò più di chiacchiere. Intanto la riverisco – E così detto, se n’andò, facendo a don Abbondio un inchino men profondo del solito, e dandogli un’occhiata più espressiva che riverente.

      Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza, tornava con la mente su quel colloquio; e sempre più lo trovava strano. L’accoglienza fredda e impicciata di don Abbondio, quel suo parlare stentato insieme e impaziente, que’ due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre andati scappando qua e là, come se avesser avuto paura d’incontrarsi con le parole che gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del matrimonio così espressamente concertato, e sopra tutto quell’accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare a Renzo che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che don Abbondio aveva voluto far credere. Stette il giovine in forse un momento di tornare indietro, per metterlo alle strette, e farlo parlar più chiaro; ma, alzando gli occhi, vide Perpetua che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un orticello pochi passi distante dalla casa. Le diede una voce, mentre essa apriva l’uscio; studiò il passo, la raggiunse, la ritenne sulla soglia, e, col disegno di scovar qualche cosa di più positivo, si fermò ad attaccar discorso con essa.

      – Buon giorno, Perpetua: io speravo che oggi si sarebbe stati allegri insieme.

      – Ma! quel che Dio vuole, il mio povero Renzo.

      – Fatemi un piacere: quel benedett’uomo del signor curato m’ha impastocchiate certe ragioni che non ho potuto ben capire: spiegatemi voi meglio perché non può o non vuole maritarci oggi.

      – Oh! vi par egli ch’io sappia i segreti del mio padrone?

      «L’ho detto io, che c’era mistero sotto», pensò Renzo; e, per tirarlo in luce, continuò: – via, Perpetua; siamo amici; ditemi quel che sapete, aiutate un povero figliuolo.

      – Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo.

      – È vero, – riprese questo, sempre più confermandosi ne’ suoi sospetti; e, cercando d’accostarsi più alla questione, – è vero, – soggiunse, – ma tocca ai preti a trattar male co’ poveri?

      – Sentite, Renzo; io non posso dir niente, perché… non so niente; ma quello che vi posso assicurare è che il mio padrone non vuol far torto, né a voi né a nessuno; e lui non ci ha colpa.

      – Chi è dunque che ci ha colpa? – domandò Renzo, con un cert’atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con l’orecchio all’erta.

      – Quando vi dico che non so niente… In difesa del mio padrone, posso parlare; perché mi fa male sentire che gli si dia carico di voler far dispiacere a qualcheduno. Pover’uomo! se pecca, è per troppa bontà. C’è bene a questo mondo de’ birboni, de’ prepotenti, degli uomini senza timor di Dio…

      «Prepotenti! birboni! – pensò Renzo: – questi non sono i superiori». – Via, – disse poi, nascondendo a stento l’agitazione crescente, – via, ditemi chi è.

      – Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perché… non so niente: quando non so niente, è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda, che non mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per tutt’e due – Così dicendo, entrò in fretta nell’orto, e chiuse l’uscio. Renzo, rispostole con un saluto, tornò indietro pian piano, per non farla accorgere del cammino che prendeva; ma, quando fu fuor del tiro dell’orecchio della buona donna, allungò il passo; in un momento fu all’uscio di don Abbondio; entrò, andò diviato al salotto dove l’aveva lasciato, ve lo trovò, e corse verso lui, con un fare ardito, e con gli occhi stralunati.

      – Eh! eh! che novità è questa? – disse don Abbondio.

      – Chi è quel prepotente, – disse Renzo, con la voce d’un uomo ch’è risoluto d’ottenere una risposta precisa, – chi è quel prepotente che non vuol ch’io sposi Lucia?

      – Che? che? che? – balbettò il povero sorpreso, con un volto fatto in un istante bianco e floscio, come un cencio che esca del bucato. E, pur brontolando, spiccò un salto dal suo seggiolone, per lanciarsi all’uscio. Ma Renzo, che doveva aspettarsi quella mossa, e stava all’erta, vi balzò СКАЧАТЬ