La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери
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СКАЧАТЬ sette porte intrai con questi savi:

      giugnemmo in prato di fresca verdura.

      112 Genti v’eran con occhi tardi e gravi,

      di grande autorità ne’ lor sembianti:

      parlavan rado, con voci soavi.

      115 Traemmoci così da l’un de’ canti,

      in loco aperto, luminoso e alto,

      sì che veder si potien tutti quanti.

      118 Colà diritto, sovra ’l verde smalto,

      mi fuor mostrati li spiriti magni,

      che del vedere in me stesso m’essalto.

      121 I’ vidi Eletra con molti compagni,

      tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea,

      Cesare armato con li occhi grifagni.

      124 Vidi Cammilla e la Pantasilea;

      da l’altra parte vidi ’l re Latino

      che con Lavina sua figlia sedea.

      127 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,

      Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;

      e solo, in parte, vidi ’l Saladino.

      130 Poi ch’innalzai un poco più le ciglia,

      vidi ’l maestro di color che sanno

      seder tra filosofica famiglia.

      133 Tutti lo miran, tutti onor li fanno:

      quivi vid’ io Socrate e Platone,

      che ’nnanzi a li altri più presso li stanno;

      136 Democrito che ’l mondo a caso pone,

      Diogenès, Anassagora e Tale,

      Empedoclès, Eraclito e Zenone;

      139 e vidi il buono accoglitor del quale,

      Diascoride dico; e vidi Orfeo,

      Tulio e Lino e Seneca morale;

      142 Euclide geomètra e Tolomeo,

      Ipocràte, Avicenna e Galieno,

      Averoìs, che ’l gran comento feo.

      145 Io non posso ritrar di tutti a pieno,

      però che sì mi caccia il lungo tema,

      che molte volte al fatto il dir vien meno.

      148 La sesta compagnia in due si scema:

      per altra via mi mena il savio duca,

      fuor de la queta, ne l’aura che trema.

      151 E vegno in parte ove non è che luca.

      Canto V

      Così discesi del cerchio primaio

      giù nel secondo, che men loco cinghia

      e tanto più dolor, che punge a guaio.

      4 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:

      essamina le colpe ne l’intrata;

      giudica e manda secondo ch’avvinghia.

      7 Dico che quando l’anima mal nata

      li vien dinanzi, tutta si confessa;

      e quel conoscitor de le peccata

      10 vede qual loco d’inferno è da essa;

      cignesi con la coda tante volte

      quantunque gradi vuol che giù sia messa.

      13 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:

      vanno a vicenda ciascuna al giudizio,

      dicono e odono e poi son giù volte.

      16 «O tu che vieni al doloroso ospizio»,

      disse Minòs a me quando mi vide,

      lasciando l’atto di cotanto offizio,

      19 «guarda com’ entri e di cui tu ti fide;

      non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».

      E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?

      22 Non impedir lo suo fatale andare:

      vuolsi così colà dove si puote

      ciò che si vuole, e più non dimandare».

      25 Or incomincian le dolenti note

      a farmisi sentire; or son venuto

      là dove molto pianto mi percuote.

      28 Io venni in loco d’ogne luce muto,

      che mugghia come fa mar per tempesta,

      se da contrari venti è combattuto.

      31 La bufera infernal, che mai non resta,

      mena li spirti con la sua rapina;

      voltando e percotendo li molesta.

      34 Quando giungon davanti a la ruina,

      quivi le strida, il compianto, il lamento;

      bestemmian quivi la virtù divina.

      37 Intesi ch’a così fatto tormento

      enno dannati i peccator carnali,

      che la ragion sommettono al talento.

      40 E come li stornei ne portan l’ali

      nel freddo tempo, a schiera larga e piena,

      così quel fiato li spiriti mali

      43 di qua, di là, di giù, di sù li mena;

      nulla speranza li conforta mai,

      non che di posa, ma di minor pena.

      46 E come i gru van cantando lor lai,

      faccendo in aere di sé lunga riga,

      così vid’ io venir, traendo guai,

      49 ombre portate da la detta briga;

      per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle

      genti che l’aura nera sì gastiga?».

      52 «La prima di color di cui novelle

      tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,

      «fu imperadrice di molte favelle.

      55 A vizio di lussuria fu sì rotta,

      che libito fé licito in sua legge,

      per tòrre il biasmo in che era condotta.

      58 Ell’ è Semiramìs, di cui si legge

      che succedette a Nino e fu sua sposa:

      tenne la terra che ’l Soldan corregge.

      61 L’altra è colei che s’ancise amorosa,

      e ruppe fede al cener di Sicheo;

      poi è Cleopatràs lussuriosa.

      64 Elena vedi, per cui tanto reo

      tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,

      che con amore al fine combattèo.

      67 Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille

      ombre mostrommi e nominommi a dito,

      ch’amor di nostra vita dipartille.

      70 Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito

      nomar le donne antiche e ’ cavalieri,

      pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

      73 I’ cominciai: «Poeta, volontieri

      parlerei a quei due che ’nsieme vanno,

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