Название: Novelle
Автор: Edmondo De Amicis
Издательство: Bookwire
Жанр: Языкознание
isbn: 4064066068882
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E sarà certo seguìto a molti di rivedere dopo quindici anni un compagno delle scuole elementari. Si riceve una lettera, di cui non si riconoscono i caratteri, si getta un'occhiata alla firma, e si dà un grido: — Come! Lui! È vivo? — Si piglia il cappello e si corre all'albergo. Oh certo che, mentre si corre, il cuore batte, e salendo la scala s'affretta il passo con grande ansietà, e si ride, e si gode, e non si darebbero quei momenti per tutto l'oro del mondo. Ma son quelli i più bei momenti. Si entra nella stanza con impeto, si bacia un uomo, nel quale, sì, a guardarlo bene, si ravvisa qualche tratto del fanciullo d'una volta; l'uno domanda all'altro: — Che fai? — e l'uno ricorda all'altro, in fretta e in furia, qualche bazzecola di quando si andava a scuola e poi.... è finita. Cominciate a pensare: — Chi è costui? Come ha vissuto, dacchè non ci siamo visti? Che cos'è seguito in quell'anima? È buono, è tristo, è un credente, è uno scettico? Io non ho niente di comune con lui, non lo conosco. Bisognerebbe scrutarlo, studiarlo; ma dunque non è un amico! — E quel che pensate voi, lo pensa lui, e la conversazione procede languida e fredda; e forse dalle prime parole vi accorgete che avete battuto due opposte vie; egli vi lascia trasparire una striscia del suo berretto frigio, voi, secondo lui, la punta del vostro codino di monarchico; voi gli date una tastatina sulla letteratura, egli a voi sul seme dei bachi da seta; voi, prima di dirgli che avete moglie, gli domandate s'egli l'ha; ed egli vi risponde: — Fossi minchione! — e finite col lasciarvi, stringendovi la punta delle dita, e ricambiandovi un sorriso morto appena nato.
Gli amici d'infanzia! Cari sì, sopra tutti, quando si siano vissuti insieme anche gli anni della giovinezza; ma se no, che cosa sono fuor che fantasmi? E l'infanzia stessa! Non ho mai potuto capire perchè si rimpiangono da molti quegli anni, — anni in cui non si soffre, è vero, ma non si pensa, non si lavora, non si crede, non si prorompe in quegli scoppi di pianto ardente ed amaro, che purificano l'anima e fanno rialzar la fronte altera e splendida di speranza e di coraggio nuovo! Oh mille volte meglio soffrire, faticare, combattere e piangere, che sfumar la vita in quel riso continuato e inconsapevole, che nasce da nulla e di nulla si pasce e di nulla si turba! Meglio star sulla breccia, sanguinosi, che in mezzo ai fiori, sognando.
II.
I primi e più cari amici gl'incontrai a diciassett'anni, in un superbo palazzo, che ho sempre dinanzi agli occhi, come se ne fossi uscito ieri. Vedo i grandi cortili, i grandi portici, le sale ornate di colonne, di statue e di bassorilievi; e in mezzo a queste cose belle e magnifiche, che richiamano al pensiero la reggia antica, lunghe file di letti, di banchi di scuola, di panni appesi, di fucili, di daghe. Cinquecento giovani sono sparsi pei cortili, per gli anditi, per le scale; un sordo rumore, interrotto da grida acute e da risate sonore, si spande fino ai più lontani recessi del vasto edifizio. Che movimento! Che vita! Che varietà di tipi, di atteggiamenti, di accenti! Giovani dalle forme atletiche con lunghi baffi irsuti e voci stentoree, giovanetti smilzi e gentili come fanciulle; visi bruni ed occhi siciliani nerissimi, e capigliature bionde e pupille azzurre del settentrione; gesticolìo concitato di Napoletani, vocìo argentino di Toscani, parlantina accelerata di Veneti, cento crocchi, cento dialetti; di qua canti e conversazioni clamorose, di là corse, salti e battimani; gente d'ogni ceto, figliuoli di duchi, di senatori, di bottegai, di impiegati, di generali; una società bizzarra che ha un po' del collegio, del convento e della caserma; dove si parla di donne, di guerra, di romanzi, di regolamenti; dove si fanno pettegolezzi da donnicciuole e si covano segrete ambizioni virili; una vita piena di noie mortali e d'allegrezze sfrenate, una confusione di sentimenti, di faccende e di casi dolorosi, stravaganti e amenissimi, da cui la penna di un grande umorista potrebbe cavare un capolavoro.
È la Scuola militare di Modena nel 1865.
III.
Non posso pensare a quei due anni passati là, senza che mi assalga una folla di ricordi, dai quali non riesco a liberarmi prima d'averli fatti passar tutti, a uno a uno, come in una lanterna magica; ora ridendo, ora sospirando, ora crollando il capo, ma sentendo che tutti mi son cari, e che sin ch'io viva, non mi sfuggiranno mai.
Rammento sempre il primo dolore che ebbi dalla vita militare, pochi giorni dopo ch'ero entrato nel collegio tutto ardente di poesia guerriera, una mattina che ci diedero i berretti, e tutti gli allievi della compagnia ne trovarono uno, e io solo non lo trovai, chè mi eran tutti stretti; e il capitano stizzito si voltò verso di me e mi disse: — Ma sa che è curiosa che per lei solo si debba far riaprire il magazzino? — e un momento dopo soggiunse: — Testone! — Dio eterno! Che seguì nel mio cuore in quel punto! E io debbo fare il soldato? pensai; nemmen per sogno! piuttosto mendicare! piuttosto morire!
Mi ricordo pure d'un ufficiale, vecchio soldato, un po' corto, ma buono, che mi guardava sempre sorridendo, sin dai primi giorni che m'aveva visto, e io non sapevo capir perchè, e mi stizzivo, e volevo chiedergli una spiegazione, e dirgli che non intendevo d'essere lo zimbello di nessuno; quando una sera mi chiamò, e dopo avermi fatto capire che gli era stata detta una cosa di me, e ch'egli voleva saper s'era vero, e che rispondessi francamente, perchè non era cosa che mi facesse torto, finalmente, sorridendo, tossendo, guardandomi di sottocchio, mi mormorò nell'orecchio: — È vero che lei è un poeta? —
Mi ricordo delle insuperabili difficoltà che incontravo nell'adempimento dei miei doveri manuali, specialmente nell'attaccare i bottoni, chè mi scappava l'ago di mano a ogni punto, e finivo col fare una rete di fili che parevan la tela d'un ragno, e il bottone spenzolava più di prima, con gran risate dei miei compagni, profondo sconforto mio e scandalo grave del sergente di squadra, il quale mi diceva: — Lei sarà buono a trovar la rima, ma quanto ad attaccar bottoni è ancora indietro di cent'anni; — terribile sentenza che mi sbalestrava di punto in bianco nel secolo decimottavo, e non me ne potevo dar pace.
Vedo ancora il vastissimo refettorio, dove avrebbe potuto far gli esercizi un battaglione di soldati; vedo quelle lunghe tavole, quelle cinquecento teste chinate sui piatti, quel movimento accelerato di cinquecento forchette, di mille mani e di sedicimila denti; quello sciame di camerieri che corrono qua e là, chiamati, sollecitati, sgridati da cente parti; e odo quell'acciottolìo, quel mormorio assordante, quelle voci mezzo strozzate fra i bocconi: — Pane! — Pane! e mi par di risentirmi quell'appetito formidabile, quel vigore erculeo di mandibole, quel rigoglio di vita e di allegria che mi sentivo allora.
Muta la scena, mi ritrovo chiuso in una celletta al quinto piano, poco più alta e poco più lunga di me, con una brocca d'acqua al fianco e un pezzo di pan nero tra le mani, coi capelli arruffati, colla barba lunga, coll'immagine di Silvio Pellico dinanzi agli occhi; condannato a dieci giorni di prigione per aver fatto un discorso di ringraziamento al professore di chimica, il giorno della sua ultima lezione, contravvenendo così al disposto dell'articolo tale del regolamento che proibisce di prender la parola in pubblico a nome dei compagni. E sento ancora il Maggiore che mi dice: — Non si lasci mai trasportare dall'immaginazione nel corso della sua vita; — e mi cita l'esempio del poeta Regaldi, suo antico condiscepolo, a cui seguì non so che disgrazia per una scappata del genere della mia, e conclude che “la poesia non ha mai fatto fare che delle bestialità.„
E in fine, mi riveggo intorno ogni cosa come se realmente rivivessi quella vita, le compagnie che attraversano in silenzio, di notte, i lunghi corridoi rischiarati da un lumicino in fondo; i professori in cattedra che c'intronan le orecchie di Gustavo Adolfo, di Federico il Grande e di Napoleone; le vaste scuole piene di visi immobili; i grandi СКАЧАТЬ