Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi
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Название: Lo assedio di Roma

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Документальная литература

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isbn: 4064066072926

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СКАЧАТЬ domanderete Roma come il pitocco la elemosina voi non l'avrete; Roma, di cui i cittadini dispensavano le corone ai Re come soldi, patireste voi vi fosse data come un soldo? A Roma si va ma con cuore, con braccia, e con passi romani.

      E questo è vero. Ma quando Roma avrà Romani sparirà il sacerdote? Non credo. Potrà egli dunque ridivenire poeta, legislatore, e guerriero? Nè manco questo credo. Potrà, se vuole, durare poeta, e Pio IX lo fu un momento quando nella procella che abbatteva imperi e regni, come fronde in bosco, ravvisava il soffio di Dio; la umanità è cosa che passa sopra mondo, che passa; ma il suo cuore anela la eternità; il sacerdote, se gli basta la mente rimarrà su la terra pilota per indicare alle generazioni che le mille vie lattee sono altrettanti sentieri pei quali le anime dei buoni arrivano al seno del Padre delle cose e degli uomini.

      Io non so se ad uomo sia dato vivere secoli; lo dicono, ma non ci credo, comunque vive adesso in Italia un'uomo che pare anima romana dimenticata dalla morte: da questo un dì mosse un grido potente, che disse: a Roma. Gli furono addosso i nemici, e degli amici quelli, che si erano fatti della Patria una pentola per cocervi gli alimenti di casa. Le anime romane udirono nelle antiche sepolture la voce, e parve loro antica e conta, sicchè rimescolaronsi, e sollevarono i coperchi. Dalle dimore della morte dei vecchi padri usciva un'alito, che bastò ad infiammare il petto dei pretesi vivi di mirabile ardore.

      E vi hanno cose che non si possono ridire, come ve ne sono di quelle, che non si possono rappresentare. Timante, pittore, non velò la faccia di Agamennone presente al sacrificio della figliuola Ifigenia? Chi potrà favellare della ignominia di Aspromonte senza sentirsi il cuore trasalire nel petto come leone in gabbia? Imperciochè, qui stava il punto: il Garibaldi aveva ragione del torto altrui. Veruno, ch'io sappia, considerò cotesto caso sotto il suo aspetto giusto ed unicamente vero; Giuseppe Garibaldi dittatore, pigliando su di sè non essere mestieri Assemblea costituente per fermare i patti dell'annessione di Napoli al Regno italiano, mallevò che le cause le quali lo persuadevano sarebbero state compite e subito; perchè opera interrotta affligge più dell'opera ruinata, significando la prima impotenza o inanità di consiglio nel fabbricatore, la seconda, forza di casi, ed empia virtù del tempo; del primo fatto, la colpa sempre intrinseca, e in facultà tua o astenertene, o emendarla; del secondo, nè tua, nè a te concesso riparare.—Il Garibaldi si trovò nella condizione del garante quando manca il debitore principale: tremendo carico gli stava addosso per la Patria, pei popoli fiduciosi in lui, per la democrazia, per la propria fama, patrimonio suo, ma e ad un punto e della Italia. Gli uomini di arme, comunque nella mano prodi, ai nostri giorni ci diedero e ci danno tali e tanti esempi di miserabilissime calate, che il Garibaldi sentì il dovere di mettere fuori la sua apologia: ora cotesta maniera di apologie si scrive col sangue; ed ei col suo sangue la scrisse. Il Garibaldi mostrò essersi ingannato, come il popolo s'inganna spesso perchè generoso e fidente. Di qui, se arguto intendi, comprenderai le ragioni ond'egli solo, o quasi, e certamente non in sembianza di cui si apparecchia a combattere, egli si accinse a compire il suo debito: alla espiazione bastava solo: e di qui il motivo pel quale sopraffatto, crebbe, nello amore del popolo: la gloria di capitano invitto rimase intera a colui, che debole ed aborrente la zuffa, si trovò circondato da eserciti, e da condottieri bramosi di sangue; la gloria di onesto crebbe; e il popolo italiano oggi ha sete, gli è proprio assetato di Onestà. Il Garibaldi Anteo del nostro secolo, o lo rovescino a terra, o lo sollevino al cielo raddoppia sempre la forza; vicino a terra gliela somministra il popolo; accosto al cielo gliela partecipa Dio.

      I coperchi degli avelli romani sollevati dalla voce del Capitano del popolo non si sono richiusi; come tante bocche aperte gridano:—codardi! eroi da teatro! a Roma non si va che con ardimento romano.—

      Roma venne tratta dinanzi come l'arco di Ulisse; bisogna curvarlo o morire. O Proci, divoratori della sostanza altrui, badate, Ulisse è già approdato in Itaca.

      Ma intanto che i fati si compiono, bisognerebbe che gl'intelletti divini imprendessero due compiti, pure aspettando d'imprendere il terzo.—Roma un dì ebbe il popolo;—a ripigliarsi Roma, giorno e notte si travaglia il popolo;—il popolo, in avvenire prossimo, si acquisterà Roma. Pertanto alla Italia adesso farebbero mestieri tre uomini, Omero, Macchiavello, ed Erodoto… il guerriero ci è.

      Omero per consolare con la luce del canto le anime di coloro i quali da tutte parti d'Italia convennero a Roma a fare la prova con documenti di sangue, che la Città eterna è patrimonio degl'italiani.

      Macchiavello per insegnare con quali modi i popoli caduti ritornino in fiore, e come i deboli devano adoperare per rifarsi gagliardi;—e più ancora chiarire le menti, che ogni disagio deva sopportarsi a patto di costituirci nazione. Se il Demonio, o volesse, o potesse venire al mondo per istrascinare nel suo inferno Papa, e Borbone, e di ogni risma stranieri, ben venga il Demonio; noi lo saluteremo: Demonio I rè d'Italia; purchè venga armato di ferro, e di fuoco.—

      Erodoto, il fortunato, il quale poichè la Italia andrà famosa di battaglie come quelle di Maratona, di Platea, delle Termopili, di Salamina, e di Mycale, potrà sotto la ispirazione delle Muse dettarne la Storia, e leggerla al popolo fatto per entusiasmo divino nelle Olimpiadi e nelle Panatenee nostre.

      Le storie dei grandi gesti scritte dal popolo, solo la Immortalità accetta e ripone dentro i suoi archivi; dalle altre, dettate da gente di corte e venduta, ella ritira le mani come da cosa immonda.—

      Ora in Italia dov'è Omero? Dove Macchiavello? In qual terra nacque Erodoto? E lasciamo questi ingegni magni da parte…. dov'è chi accenni portare sul capo la fiammella del Paracleto fra noi? Come l'uccello, secondo la stupenda similitudine di Dante, che su l'aperta frasca fisa la plaga di oriente pure aspettando che sorga l'alba, io mi volgo da tutti i quattro venti, smanioso di vedere sorgere la luce nuova di faccia a cui gl'ingegni nostri diventino quale si fa il lume di candela quando splende il sole nella gloria dei suoi raggi; ma, ahimè! da lungo tempo io lamento il secolo apparirmi simile all'uffizio della settimana santa dove al finire di ogni salmo spengono un cero; ed oscurata la chiesa, si annunziano poi le tenebre con le battiture.

      Senza paura, come senza offesa io lo dirò; non basta la gagliardìa; anco i gladiatori erano forti; e corre gran tratto tra coraggio, e coraggio; anco i gladiatori erano animosi, e sostentavano la vita per darsi la morte dinanzi ai Quiriti. La vita consolata da affetti, decorosa di sapienza, pura da colpa è sagrifizio degno della Patria; chi butta là la vita bestiale, fastidiosa, e contaminata offre alla Patria la offerta di Caino. I sommi capitani in antico comparvero eroi però che con lo intelletto intendessero e col cuore sentissero quello perchè combattevano, e palpitassero prima per la Patria poi per loro; nè le armi, già instituto di vita o fine delle azioni, bensì, mezzo o via per tutela della Patria, e della famiglia. Cincinnato, compita la guerra, ripigliava il solco interrotto nel campo paterno. Oggi, si corre dietro a' gradi della milizia al pari che dietro una prebenda, e il divario, che occorre tra un capitano e un canonico, gli è questo: che uno si procaccia il vivere con la spada, d'altro, se lo procura col breviario, onde se non trovi canonici che abbiano genio di capitano, ti occorrono qualchevolta soldati che arieggiano anco troppo del canonico; nè questo giudico il peggio. Le armi appartate dal vivere civile, e sceme di dottrina, e piene di presunzione tu reputa addirittura minaccia non sostegno di libertà; il soldato ignorante e il mastino della tirannide. Erodoto, Senofonte, Socrate, Epaminonda di Tebe, Arato di Sicione capitani furono e filosofi; la spada in tempo di pace mettevano per segno in mezzo alle pagine dei libri della sapienza, però, quando ne la traevano fuori non si correva pericolo che senza accorgersene essi l'adoperassero a danno della Patria, e in pregiudizio della Libertà. La milizia incivile ha educato fra noi gente misera a un punto e contennenda; poichè non la menò diritto al canonicato, fastidisce i lavori dagli studii rifugge, irrequieta sempre e bisognosa di sommovere le acque per pescare nel torbido; al contrario di quanto disse stupendamente il Danton, si porta la Patria sotto le suola delle scarpe.

      Morte degli studii onorati, come del senno politico, del senso morale, di tutto che compone l'onesto vivere civile il mestiere dei Giornalisti. In questa maniera di scrittura convennero la mediocrità СКАЧАТЬ