L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 44

Название: L'assedio di Firenze

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

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isbn: 4064066069841

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СКАЧАТЬ Non dico vero, Ludovico? Messere vostro padre deve pure averlo scritto nelle sue storie.»

      «Sì, certo, e udite come la racconta, che io me la sono serbata a mente: «L'imperatore (era Arrigo VII), deliberato di domare i Fiorentini, venne per la via di Perugia e di Arezzo a Firenze, e si pose con lo esercito suo al monastero di San Salvi propinquo alla città a un miglio, dove cinquanta giorni stette senz'alcun frutto: tanto che, disperato di potere disturbare lo stato di quella città, ne andò a Pisa. Correva l'anno del Signore 1312.»

      «O perchè messere vostro padre, il quale pure sapientissimo uomo era, in così magnanimo fatto spese tanto poche parole?»

      «Perchè dubitò la ignavia del secolo presente su le glorie passate si riposasse. Di vero, cavare sollievo nella presente miseria dalla memoria delle perdute facoltà senza sbracciarsi a mutare stato la è cosa da gente vile. Più lungo fu esponendo i falli e le colpe dei tempi, affinchè i cittadini ne sentissero vergogna e l'emendassero.»

      Così consumando il tempo nel novellare di molti e varii argomenti, all'improvviso fu udito mosso di fuori uno schiamazzo di voci confuse, minaccevoli e supplicanti, umili, crucciose, e imprecazioni e bestemmie; — poco dopo un rumore come di carra rovesciate, di corpi caduti; e qui guaiti, urli furibondi, senza misura crescenti; quindi un celere scalpito di cavalli sopra il selciato della via.

      Adesso, mentre i soldati del corpo di guardia staccavano le partigiane dalla parete per accorrere in aiuto, spalancato fragorosamente le porte, balza in mezzo della stanza una femmina, come palla briccolata dalla bombarda, la quale, corsi allo indietro tre o quattro passi, quasi compiendo l'urto di spinta impressa contro di lei, andò a percuotere supina il capo nella parete. Indifferenti a cotesta apparizione, i soldati uscirono dal corpo di guardia; rimasero Ludovico e Lupo per ragione di ufficio ed anche per vaghezza di soccorrere la misera donna. Le si accostarono pertanto e, rilevandola, la trovarono giovanissima, bella e di gentile aspetto: le sue vesti apparivano schiette, quali costumano le donzelle di contado, se non che fatte di panni più fini e con sottile lavorio ricamate di passamani e nastri di seta. Le si vedevano sul volto delicato i segni di patimenti sofferti, certo a lei più gravosi quanto più nuovi: pallida era ed aveva bianche le labbra, gli occhi chiusi siccome morta.

      Ludovico, invece di porgere mano a Lupo onde sovvenire alla fanciulla, si rimase immemore a contemplarla. Ludovico toccava la età nella quale un'arcana malinconia si diffonde nel sangue: quanto una volta piaceva ora rincresce: — il ragno intreccia a festoni la sua tela intorno al tanto una volta diletto leuto; la spada anch'essa polverosa penderebbe dal chiodo, se amore di patria non gliela cingesse ai fianchi; il seno si gonfia a spessi sospiri: sovente tendeva l'orecchio, quasi aspettando una chiamata; si sentiva invogliato a piangere e non sapeva perchè; nella sua mente si avvolgevano forme indistinte e pur vaghe d'ineffabile bellezza, a guisa di volti di angioli specchiantisi sopra l'onda commossa di un lago; — ed ora quelle sembianze, contemplate a frammenti, par che gli stiano definite dinanzi; — la voce che aspettava gli si è fatta sentire, e l'eco della sua anima già vi ha risposto, la corda è vibrata, conosce il fine dei dubbiosi desiri.

      Lupo, sdegnoso per la inerzia di Ludovico, così lo riprende:

      «Vico, davvero io vi credeva più caritatevole verso il prossimo. — Datemi una mano perchè io non so quello che mi faccia: — fosse ella colubrina o smeriglio saprei il modo di aggiustarli io... una fanciulla così delicata... in questo stato... che cosa volete? non me ne intendo e intanto la poverina patisce... — Qua via, porgete il lume, vediamo mo' s'ella fosse rimasta ferita nel capo. — Tenete ferma la mano; — così non vedo nulla: — ma che diavolo avete nelle braccia che le vi tremano come se la quartana vi fosse venuta addosso?» — Così favellando Lupo spartiva dietro il capo il volume delle chiome alla donzella e, al moto delle dita aggiungendo il soffio, speculava se vi fosse lacero o contusione. — «Gran male io non ci veggo; ora abbisognerebbe un po' di aceto... cercate, Ludovico, se vi venisse fatto di trovare o penne di pollo o esca od anche carta, che gliela bruceremo sotto il naso e la faremo rinvenire: — io la scingerei, ma non mi attento; e' sono cose queste che non si aspettano a' maschi...»

      Ludovico, come risensando, senza dar mente alle parole di Lupo, aveva già tratto un pannolino di tasca e, intintolo nell'acqua, dolcemente bagnava le tempie alla donzella. Nè stette guari che, in quella guisa che l'aere vermiglio all'orizzonte annunzia vicina la lampa del sole, il colore della giovanezza e della salute, diffondendosi sul volto alla fanciulla, presagì vicino il ritorno dell'anima agli usati offici. Alfine trasse un gran gemito, e lo splendore degli occhi si manifestò. Li volse esterrefatta d'intorno, e la prima parola che uscisse dalle sue labbra fu:

      «O padre mio! Dov'è mio padre?» E chiuse gli occhi di nuovo. Di lì in breve riaprendoli, gli fissa nella faccia di Lupo, e prendendone terrore, a braccia aperte si ripara al seno di Vico esclamando: «Salvatemi, in nome di Maria santissima, da quel ceffo di fiera... difendetemi da quell'empio ladrone... uccidetelo, o uccidetemi...»

      «Per la testa di San Giovambattista!» proruppe Lupo, «valeva il pregio davvero che io mi prendessi tanto impaccio di scioglierle la lingua a cotesta calandra! Che ci ho a fare io, se gli anni mi hanno mutato in bianco quello che un giorno ebbi nero, e il sole ha mutato in nero quello che dalla natura sortii bianco? Se le ferite mi hanno cincischiato il viso, ciò è avvenuto perchè, tranne una volta... una volta sola..., non voltai mai le spalle al nemico. Ed io vo' che sappiate, fanciulla mia, tornare a maggiore infamia pel soldato gli sfregi alle spalle che non si vedono che gli altri visibili sopra la faccia. — Nè sempre apparvi quale comparisco adesso; — e qualche occhio di donna pianse alle mie partenze, e qualche labbro sorrise ai miei ritorni. Ma ci corrono anni da questi a quei tempi! — Però non dubitava di avere ceffo da mettere paura, — da masnadiere, — da ladrone. Voi, fanciulla mia, avete scambiato il sorbo per noce. — Io sono Lupo bombardiere agli stipendi della Repubblica di Fiorenza... onesto e dabbene quanto può esserlo qualunque altro bombardiere in questo mondo e in quell'altro.»

      Ludovico sosteneva quel caro peso; fremeva, godeva e taceva; un'arcana voluttà gl'investiva le membra. La donzella pur sempre a occhi chiusi, col capo dimesso; di repente si svelle dalle braccia di lui, palma percuote a palma, le mani si caccia tra i capelli, prorompe in dirottissimo pianto e, fuggendo verso la porta, empie l'aere notturno col grido:

      «O padre mio! o padre mio!»

      «Vico la seguitando veloce, la trattiene; e confortandola con dolci parole, le dice:

      «Non temete; il padre vostro ritroveremo; vi ricondurremo alle vostre case... ai vostri parenti...»

      Qui lo interrompe un alto riso della fanciulla: — egli allora, tra stupido e soddisfatto aggiunge:

      «Sol che vi piaccia mantenere l'animo lieto e tranquillo.»

       «Vuoi rendermi la casa! Oh! rendimela via, e con essa la mia cameretta linda, polita, col soffitto tinto d'azzurro, e il letticciolo con le coperte di rascia rossa e il bel capoletto di Sicilia: — rendimi la immagine della Madonna dell'Impruneta di Luca della Robbia e la lampada e il vaso dove ogni giorno mutava fiori freschi di mia mano côlti nel giardino... Ma come farai a rendermela, se quando ne uscii, il pavimento, le pareti, il soffitto tutta andava in fiamme?... Mi vuoi gettare tra il fuoco? In che peccai? Cotesta è la stanza dei dannati, ed io non ho fatto male a persona nel mondo. — Io sono innocente, io! — Tu mi hai parlato di madre: menami a vederla, e ti dirò fratello, perocchè io sappia ogni creatura nascere da una madre ed essere amata da lei sopra ogni cosa: ma io, sai? non ho conosciuta la mia... nessuno ha risposto allorchè domandai: siete mia madre voi? — ed io fin qui ho dubitato di essere venuta al mondo senza. Ben ho padre e amatissimo. — Almeno lo aveva un'ora fa; — ora poi non so più s'io lo abbia. — Deh! se lo sapete, insegnatemelo, siatemi pietosi, rendetemelo. Non conosco altro che lui nel mondo: — che cosa dovrei fare sola, orfana, abbandonata a me stessa? — Adesso poi che madonna Lucrezia è morta. — Oh! le sventure СКАЧАТЬ