Il Volto della Rabbia. Блейк Пирс
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СКАЧАТЬ non riceveva visite, non aveva mai sentito la necessità di acquistare delle poltrone. C’era soltanto il divano, e questo voleva dire che sarebbe stata costretta a sedersi accanto a lui; imbarazzante e inappropriato, e anche disorientante, perché non sapeva a quale angolazione posizionare il proprio corpo. Si sedette dopo un attimo di esitazione e infine si sistemò a un’angolazione di quarantacinque gradi, una via di mezzo ottimale che le permetteva di prestare attenzione al suo ospite ma senza doverlo guardare direttamente in faccia.

      “Agente Prime,” disse nuovamente Maitland, come se stesse cercando di scegliere le parole con molta attenzione. “Cos’è successo ieri?”

      “Ieri?” ripeté ottusamente Zoe. La sua mente cominciò a tornare indietro nel tempo. Ieri? Cosa aveva fatto? Era rimasta svogliatamente seduta davanti alla finestra, aveva mandato via la dottoressa Applewhite ancora una volta e poi era andata a fare una passeggiata. Ah. La passeggiata. Forse Harry Rose aveva presentato un reclamo.

      Maitland si mosse per trovarsi faccia a faccia con lei. Zoe notò che i suoi capelli rasati erano della stessa lunghezza di sempre, sebbene fossero più grigi rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. “Il suo periodo di sospensione si è concluso ieri. Mi aspettavo che tornasse in servizio.”

      “Era ieri?” domandò Zoe, sfogliando mentalmente il calendario. Sì, pensò, il numero di giorni era corretto. Ed era anche mercoledì, quindi suppose che la data fosse giusta. Le era completamente passato di mente.

      “Le ho inviato diverse e-mail al riguardo,” disse Maitland, dopodiché spostò leggermente la testa, dando un’occhiata all’appartamento. Zoe vide l’angolazione del mento dell’uomo e le fu subito chiaro cosa stava guardando: il computer, che era spento; il cellulare, morto; il telefono fisso, staccato. “Ho provato anche a chiamarla diverse volte, e non riuscendo a mettermi in contatto con lei, le ho lasciato numerosi messaggi in segreteria.”

      Zoe annuì lentamente, seguendo un determinato ritmo: uno, due, tre. “Mi dispiace,” disse, sebbene non lo sentisse particolarmente. “Non ho controllato molto la mia corrispondenza, ultimamente.”

      Maitland sospirò. “Ascolti, Zoe, so che sono stati due mesi difficili per lei,” disse. “Le ho dato una sospensione di sei settimane perché sapevo che avrebbe comunque dovuto prendersi un permesso. È obbligatorio quando un agente perde il proprio partner. Soprattutto nel modo in cui è capitato a lei. È andata dal terapista?”

      Zoe scosse lentamente la testa. Di nuovo a ritmo, uno, due, tre. Non aveva senso mentire. Lui avrebbe potuto controllare i registri. Probabilmente l’aveva già fatto. È solo che a lei non sembrava essere utile. Dopotutto aveva già la sua strizzacervelli. Anche se non c’era andata.

      “Perché no?” domandò Maitland.

      Zoe pensò alla risposta da dargli. Ci pensò troppo a lungo. I secondi passarono, tre, quattro, cinque, e alla fine Maitland si spazientì.

      “Ok, mi stia a sentire,” disse, costringendo Zoe a guardarlo negli occhi. Lei cercò di concentrarsi sulle sue parole e non sul raggio della sua iride o su come questa cambiasse ogniqualvolta lui girava la testa da un lato all’altro, colpita in modo diverso dalla luce. “Il motivo per cui oggi mi trovo qui è perché ho bisogno di sapere quali sono le sue intenzioni. Ha scelto di non tornare al lavoro. Dovrei considerarle le sue dimissioni?”

      Zoe aprì rapidamente la bocca in modo che lui capisse che voleva rispondere. In fondo non era una domanda difficile. “Sì,” rispose immediatamente. Come avrebbe anche solo potuto considerare di rientrare al lavoro? Come avrebbe fatto a camminare per quei corridoi senza avere accanto la sua partner? Prima di Shelley, l’avevano odiata tutti. Le avevano voltato le spalle. Con la morte di Shelley sarebbe stato anche peggio.

      Maitland annuì lentamente, proprio come aveva fatto lei. A ritmo. Uno, due, tre. “Va bene,” disse. “Se ne è sicura. Tuttavia, avrò bisogno che lo metta per iscritto.”

      Zoe guardò verso il computer e annuì in silenzio. Avrebbe scritto qualcosa e gliel’avrebbe inviata il prima possibile. Forse già domani.

      Maitland si alzò, sollevando la sua imponente figura con una certa cautela, ovviamente riluttante a restare in questa casa ancora a lungo. “Ma prima di scrivere la sua lettera di dimissioni…” disse, porgendole un fascicolo. Zoe era stata talmente concentrata sulle misure di quell’iride da non accorgersi neanche del fatto che fosse posato sul ginocchio dell’uomo. Era marrone e di dimensioni standard, con un sottile bordo bianco di due millimetri che faceva capolino. “Penso che dovrebbe dare un’occhiata a questo. Potrebbe interessarle, e io potrei avvalermi del suo aiuto.”

      Zoe lo guardò con diffidenza e Maitland sospirò prima di posarlo sul tavolino.

      “Conosco la strada,” disse, dirigendosi verso la porta. Appena prima di raggiungerla, si fermò e si voltò per guardarla. C’era qualcosa sul suo viso, qualcosa che Zoe pensò potesse essere tristezza. “Lei è un buon agente, Prime. Sarebbe un peccato se quel figlio di puttana mettesse fine alla carriera di due dei miei migliori agenti. Ho visto altri agenti subire questo tipo di perdita, e la cosa migliore per loro è sempre stata quella di tornare al lavoro.”

      Dopodiché aprì la porta e se ne andò, e Zoe rimase a fissare il fascicolo lasciato sul tavolo, esaminandone le dimensioni e cercando di ignorare tutto il resto.

***

      Non era neanche mezzogiorno e Zoe si sentiva già a pezzi. La sua emicrania non era ancora sparita, e in più era stanca morta. Dopo aver camminato per metà della notte e aver bevuto, si sentiva come se fosse stata privata di tutte le forze. Ma non era il primo giorno che si sentiva così. Ultimamente era stata la norma.

      Si alzò dal divano e si trascinò verso la camera da letto, gettandosi sulle coperte senza preoccuparsi di spostarle né di spogliarsi. Chiuse gli occhi, appoggiando la testa sul cuscino, e si lasciò avvolgere dall’oblio del sonno.

      “Z, devi ascoltare.”

      Zoe si voltò, guardandosi attorno e vedendo Shelley, che era in piedi davanti a lei. Indossava un bel vestito, i suoi capelli e il trucco erano ancora più ordinati del solito e il suo fisico era slanciato dai tacchi. Zoe abbassò lo sguardo su di sé, vedendo che stava indossando lo stesso vestito. Si trovavano nel bagno delle donne di un ristorante, mentre i rispettivi compagni le aspettavano in sala.

      “Cosa?” domandò Zoe, aggrottando la fronte. C’era qualcosa di strano, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse.

      “Devi ascoltare,” insistette Shelley.

      Zoe aggrottò ancora di più la fronte e fece un passo verso la sua partner, ma Shelley riuscì a restare alla stessa distanza pur senza muoversi. “Ascoltare cosa?” domandò Zoe.

      Shelley indicò alle sue spalle e Zoe si girò: vide il riflesso del suo viso allo specchio, senza il trucco e il vestito elegante ma com’era adesso, spettinata e pallida, trasandata e con le occhiaie.

      Ma non c’era nient’altro.

      Zoe si voltò nuovamente verso la sua partner, ma Shelley era muta e la fissava con una tale concentrazione e una tale forza da smorzare le parole che volevano disperatamente uscire dalla sua bocca. Riuscì soltanto a ricambiare quello sguardo, cercando di comprenderne il significato, ma gli occhi della sua partner si velarono di bianco e smisero di fissare qualsiasi cosa.

      Zoe scattò in piedi, ansimando. Era sudata e accaldata, e si accorse di avere i capelli bagnati di sudore quando alzò la mano per spostarli dalla fronte. Ci mise molto a togliersi dalla mente l’immagine degli occhi bianchi di Shelley, e quando СКАЧАТЬ