Название: Sola di fronte al Leone
Автор: Simone Arnold-Liebster
Издательство: Автор
Жанр: Биографии и Мемуары
isbn: 9782879531687
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I calorosi incoraggiamenti di due meravigliosi amici, il defunto Lloyd Barry e John Barr, mi hanno fornito la motivazione necessaria per scrivere.
È anche doveroso ricordare due persone che hanno avuto un ruolo decisivo nella realizzazione del mio libro. Per primo il mio editore Fred Siegel che mi ha costantemente sostenuta col suo ottimismo. Poi Jolene Chu, che mi ha messo a disposizione il suo scrupoloso talento letterario: con l’attenta lettura del manoscritto inglese, le brillanti osservazioni e una buona comunicativa è stata un impareggiabile aiuto. Questo lavoro ci ha unite in un forte legame affettivo; per me è diventata come una figlia che ha accettato di tramandare la mia vicenda quale personale eredità.
Un sentito grazie a Patrick Giusti, il mio prezioso segretario, che ha ricoperto in modo straordinario il ruolo di intermediario per il lavoro di tutti i traduttori in Europa.
Per la versione italiana ringrazio Gabriella Palermo e il team dei traduttori: Biancalisa Baroni, Cinzia Guiracocha, Lorena Gheza, Anna Ghezzi, Elena Necchi, Antonella Petrocchi, Gennaro Romano. Un buon traduttore è colui che, pur intervenendo sulla base del proprio bagaglio personale, accetta di rimanere nell’ombra per comprendere e rispettare sia il pensiero dell’autore sia i suoi sentimenti e i suoi modi di esprimersi: queste persone ne sono indiscutibilmente una fedele e avvincente immagine. Aggiungerò che la loro serietà, devozione, disponibilità e coinvolgimento nei confronti di vicende e personaggi del libro hanno contribuito a tessere tra noi profondi legami di amicizia. Di grande valore è stato il contributo di Marco Palermo, che ha pianificato e supervisionato in modo attento tutto il lavoro del gruppo.
Per finire, ringrazio Max, mio amato sposo, per la sua eccezionale pazienza e i suoi amorevoli incoraggiamenti.
INTRODUZIONE
Tutta l’Europa si stava preparando a celebrare il cinquantesimo anniversario della liberazione dal terrore nazista. Il mondo doveva ricordarsi ancora una volta di un periodo entrato nella storia con appellativi tanto inquietanti come “abisso”, “inferno”, “epoca di terrore” o “tenebre”. Anche un piccolo gruppo di testimoni oculari ha commemorato l’avvenimento: aveva portato il triangolo viola, contrassegno dei Testimoni di Geova nei campi di concentramento. Cominciando da Strasburgo e Parigi queste persone, me compresa, hanno visitato numerose città francesi per narrare la loro storia nell’ambito di esposizioni itineranti. I nostri racconti hanno suscitato molta curiosità, sia su fatti storici sia sul vissuto personale. Le insistenti domande dei visitatori mi hanno obbligata ad alzare a una a una le saracinesche solidamente serrate della mia memoria. Ho avuto l’impressione di ritrovare la mia infanzia, di tornare a essere la bimba di un tempo, con i suoi ricordi, sentimenti, gioie e paure. Le numerose interviste hanno proiettato luce sui miei sogni – e i miei incubi – e hanno richiamato gli orrori del mio passato. Tutto si è delineato con tanta vividezza e precisione che ho rivissuto quel periodo, in cui ero confrontata con l’oppressione del “Leone” nazista.
Al coro si sono uniti numerosi amici: “Scrivi tutto, dipingici un quadro, fissa i tuoi ricordi sulla carta. Scrivi adesso, finché c’è ancora tempo…”
Sono ritornata nell’Alsazia degli anni Trenta, una bella regione dai paesaggi maestosi, dai forti valori ancestrali, una terra agognata, che portava ancora le dolorose cicatrici dei passati conflitti fratricidi.
Proprio in questa cornice la ragazzina felice e allegra che ero allora aveva sviluppato una maturità precoce, scoprendo la povertà dei figli delle famiglie operaie, le ingiustizie, l’intolleranza, le dispute tra i sostenitori della Francia o della Germania e l’angoscia crescente degli adulti ossessionati dalla prospettiva di una nuova guerra.
Il “Leone” – così soprannominavamo il regime nazista avido di prede – aveva finito per estendere la sua tana alla nostra regione, braccando i miei amici, disperdendo la mia famiglia, infrangendo il mio universo e defraudando la mia fanciullezza. Non mi restavano altro che i miei ricordi, definiti simpaticamente da mio padre la mia “biblioteca privata”. La prova fu terribile.
Nonostante tutto, la mia storia è una testimonianza vivente che la coscienza, anche quella di una bambina, può rimanere fedele a se stessa e trionfare sulle avversità, purché educata e alimentata da un ideale o da elevati valori. Che questa vicenda possa infondere fiducia e coraggio a chiunque in futuro debba affrontare qualunque Leone possa sorgere!
PRIMA PARTE
dal giugno 1933 all’estate 1941
CAPITOLO 1
La mia infanzia tra città e campagna
Giugno 1933
La mia famiglia abitava a Husseren-Wesserling, un piccolo e grazioso villaggio situato nella valle di Thann nei Vosgi, non lontano dalla fattoria dei nonni. La nostra casa era incantevole: un rigoglioso pergolato di rose consentiva l’accesso al giardino e ai prati. Il mio paese si trovava in Alsazia-Lorena, una regione di frontiera teatro di lunghe contese tra Germania e Francia.
Avevo quasi tre anni quando la mamma, il papà, io e la mia cagnetta Zita ci trasferimmo a Mulhouse, al terzo piano di un palazzo situato in Rue de la Mer Rouge al numero 46. A quel tempo la mia famiglia era tutto il mio mondo. Nemmeno nei miei più inquietanti incubi avrei potuto immaginare le sofferenze, la miseria e il terrore che sarebbero piombati su di noi. Il nome della nostra via, Rue de la Mer Rouge – Via del Mar Rosso – sarebbe divenuto il simbolo del nostro destino: disperazione, separazioni, viaggi, ma soprattutto speranza. Mi domando se i miei genitori abbiano mai riflettuto sull’affinità fra il significato storico del nome della via e le nostre future vicissitudini.
La stazione ferroviaria di Mulhouse-Dornach segnava l’inizio della lunga Rue de la Mer Rouge, che si snodava tra giardini e prati, e serviva agli abitanti di una serie di case popolari e di palazzine. Il numero 46 era un edificio di quattro piani e otto appartamenti, dove abitavano alcuni operai della ditta Schaeffer & Co., una stamperia tessile rinomata in tutto il mondo. Il papà vi lavorava come consulente artistico.
In città non mi era permesso di avvicinarmi troppo alle finestre di casa e tanto meno di uscire per strada da sola. Che tristezza per una ragazzina di campagna! Anche i fiori sul balcone erano prigionieri dei loro vasi!
Fortunatamente tornavamo spesso alla fattoria dei nonni. Viaggiavamo in treno fino a Oderen, un luogo di pellegrinaggio dedicato a Maria Vergine. Da lì un sentiero si inerpicava su per la montagna, costeggiava un fresco ruscello montano, poi saliva bruscamente, arrampicandosi lungo un pendio scosceso, fino a Bergenbach, una pianura verdeggiante ricoperta da diversi tipi di alberi da frutto.
La fattoria dei nonni si trovava tra rocce, felci e boscaglia. Oltrepassata la minuscola porta, occorreva qualche istante prima che gli occhi si abituassero alla penombra e potessero distinguere in un angolo l’ampio camino nero, dove era stata installata una grossa cucina a legna. L’odore del fumo mescolato all’aroma del fieno e dei cereali era per il mio olfatto la fragranza più gradevole. Fuori c’era una fontana di pietra: il placido gorgoglio delle sue acque era stato la dolce ninnananna di tante generazioni.