Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3. Джек Марс
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Название: Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3

Автор: Джек Марс

Издательство: Lukeman Literary Management Ltd

Жанр: Триллеры

Серия:

isbn: 9781094305660

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СКАЧАТЬ uomo robusto con gli occhiali, Aaron, un dipendente della compagnia, gli gettò un fucile di grosso calibro. Aveva un caricatore ricurvo che spuntava dal fondo, e un mirino sopra.

      Big Dog mise un colpo in canna.

      Stava soffrendo. Gli faceva male il cuore. E lo faceva infuriare. Quella era la sua piattaforma, e quelli là fuori erano i suoi uomini che venivano uccisi. Nei suoi dieci anni di servizio nell’industria del petrolio dell’Artico, non era mai successo niente del genere. C’erano state risse? Certo. Scazzottate, accoltellamenti, scontri a suon di stecche da biliardo e tubi di ferro. Persino sparatorie. In effetti, anche se di rado, qualcuno estraeva una pistola.

      Ma un attacco del genere?

      Assolutamente no.

      E non poteva sopportarlo.

      Gli uomini nella sala comando lo fissarono.

      Quando aveva lasciato la riserva all’età di diciassette anni si era unito al Corpo dei Marine. Nell’esercito avevano notato la sua mira e lo avevano subito addestrato per diventare un cecchino.

      “Quei figli di puttana.”

      Non gli importava chi fossero e che cosa credessero di fare, non ci sarebbero riusciti. Tornò fuori sul molo, con l’arma stretta tra le mani possenti.

      Sotto di lui, gli aggressori avevano ormai invaso tutta la struttura, diretti verso i capanni Quonsets che facevano da alloggi, sala ricreativa e mensa. Gli allarmi stridevano e gli operai iniziavano a emergere da ogni dove, in preda al panico. Regnavano confusione e paura.

      Per Big Dog sparare era facile. Ognuno aveva le proprie capacità e abilità. Quella era la sua. Guardò nel mirino, prendendo la mira su uno degli invasori alla giacca nera nel bel mezzo del gruppo. Ce l’aveva lì, tanto vicino che avrebbe potuto tendersi e toccarlo. Premette il grilletto. Il fucile gli scalciò tra le mani e gli spinse contro una spalla.

      BANG!

      Il suono riecheggiò in lontananza, sul ghiaccio e sull’acqua.

      Fu un colpo diretto al corpo, all’altezza del petto. L’uomo agitò scompostamente le braccia e lasciò cadere la pistola. Fu sbalzato all’indietro e sollevato in aria, per poi ricadere sulla terra gelata come una bambola di pezza.

      Non era un buon segno. Dalla sua reazione Big Dog capì che l’uomo indossava un giubbotto antiproiettile. La pallottola non lo aveva trapassato, lo aveva solo fatto cadere all’indietro. Lo avrebbe sentito per un po’, e il giorno successivo sarebbe stato terribilmente dolorante, ma non sarebbe morto.

      Non ancora, per lo meno.

      Espulse la cartuccia esausta del fucile e mise un altro colpo in canna. Prese di nuovo la mira sull’uomo che stava strisciando per terra.

      Si concentrò sulla sua testa.

      BANG.

      L’eco si perse nelle vaste distese vuote. Al posto del cranio si allargò un cerchio di sangue. In automatico, senza pensare, Big Dog espulse la cartuccia e mise in canna un altro colpo.

      Il prossimo.

      Un altro bastardo vestito di nero si era inginocchiato vicino all’uomo morto. Sembrava che stesse controllando i suoi segni vitali. Ma a che scopo? Non aveva più metà della testa.

      Big Dog sorrise e puntò il mirino sulla sua testa. Il tizio era un idiota.

      BANG.

      Ma non più.

      La testa del secondo uomo esplose proprio come era successo al primo, in uno spruzzo di rosso nell’aria, come lo soffio dallo sfiatatoio di una balena appena sotto la superficie del mare. I due cadaveri finirono uno sopra l’altro, un ammasso nero sulla terra bianca.

      Big Dog abbassò il fucile per avere una visuale più ampia del campo. Si era scatenato il caos. Gli uomini correvano da tutte le parti. Sparavano. Cadevano morti a terra.

      Troppo tardi, vide due aggressori inginocchiarsi. Gli puntarono contro le armi. Da quella distanza lui non riusciva a capire che cosa stessero imbracciando. Erano piccole mitragliatrici, compatte, forse Uzi, o magari MP5.

      Passò meno di un secondo.

      Big Dog si spinse via dalla ringhiera proprio quando la prima sventagliata di pallottole lo raggiunse. Lo attraversarono e lui si sentì il corpo sconvolto da uno scatto convulso. Poi arrivò il dolore, come in differita.

      Gli scivolarono i piedi all’indietro, facendogli perdere l’equilibrio, e Big Dog cadde in avanti sulla ringhiera. Rischiò di dar di stomaco sotto di sé.

      Ma la sua altezza e l’impeto lo spinsero al di là del parapetto. Ci fu un momento assurdo in cui parve appollaiato sulla sbarra di metallo, con tutto il peso sulla pancia. Poi cadde. Cercò disperatamente di afferrare il ferro dietro di lui, ma fu tutto inutile.

      Passarono un paio di secondi. Poi l’IMPATTO.

      Il tempo si fermò. Lui fluttuò. Quando aprì di nuovo gli occhi, si ritrovò a fissare un cielo che pareva buio. Era finita quella giornata maledetta, e le fredde stelle stavano iniziando a riempire la volta celeste a milioni, giocando a nascondino tra le nuvole in movimento. Batté le palpebre e tornò giorno.

      Capì subito che cosa era successo. Era caduto sul pontile di ferro, due piani più sotto rispetto al livello del centro di comando. Era stato un brutto atterraggio. Doveva essersi fratturato tutte le ossa. Aveva il cranio spaccato.

      E poi, quando ricordò gli eventi, fu come se i proiettili lo colpissero di nuovo. Fu colto dalle convulsioni. Gli avevano sparato con le mitragliatrici.

      Era impossibile dire quanto tempo fosse passato. Forse pochi minuti. Forse ore. Cercò di muoversi. Era doloroso qualsiasi gesto. Ma era una cosa positiva, significava che aveva ancora la sensibilità. C’era un liquido scuro attorno a lui sul pontile. Il suo sangue. Ansimava con ogni respiro, come un sollevatore idraulico danneggiato, e gli gorgogliava del fluido in bocca.

      Da qualche parte, poco distante, si udivano ancora spari. C’erano grida, urla di dolore, o forse di panico.

      Un’ombra calò su di lui.

      Due uomini gli si erano avvicinati, per controllarlo. Entrambi indossavano pesanti giacche nere con delle toppe bianche. Sopra sembrava esserci l’immagine di un aquila o di qualche rapace. Portavano pantaloni verde mimetico, come quelli usati dai soldati nelle missioni a terra, nelle zone del mondo non coperte di neve. E ai piedi avevano pesanti stivali neri.

      I loro volti erano nascosti da passamontagna neri. Si vedevano solo gli occhi, duri e privi di compassione.

      Che cosa credevano di fare?

      “Chi…?” chiese Big Dog.

      Era difficile parlare. Stava morendo e lo sapeva. Ma non era tipo da gettare la spugna. Non lo era mai stato e non sarebbe ancora successo.

      “Chi siete?” riuscì a domandare.

      Uno degli uomini disse qualcosa in un linguaggio che non capì.

      L’invasore СКАЧАТЬ