Il fu Mattia Pascal. Луиджи Пиранделло
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Il fu Mattia Pascal - Луиджи Пиранделло страница 4

Название: Il fu Mattia Pascal

Автор: Луиджи Пиранделло

Издательство: Bookwire

Жанр: Языкознание

Серия:

isbn: 9782377877546

isbn:

СКАЧАТЬ due ciò ch’era uno primamente.

              Una mi adopra con le cinque sue

              Contra infiniti, che in capo ha la gente.

              Tutta son bocca dalla cinta in sue,

              E più mordo sdentata che con dente.

              Ho due bellichi a contrapposti siti,

              Gli occhi ho ne’ piedi, e spesso a gli occhi i diti.

      Mi pare di vederlo ancora, nell’atto di recitare, spirante delizia da tutto il volto, con gli occhi semichiusi, facendo con le dita il chiocciolino.

      Mia madre era convinta che al bisogno nostro potesse bastare ciò che Pinzone c’insegnava, e credeva fors’anche, nel sentirci recitare gli enimmi del Croce o dello Stigliani, che ne avessimo già d’avanzo. Non così zia Scolastica, la quale ― non riuscendo ad appioppare a mia madre il suo prediletto Pomino ― s’era messa a perseguitar Berto e me. Ma noi, forti della protezione della mamma, non le davamo retta, e lei si stizziva così fieramente che, se avesse potuto senza farsi vedere o sentire, ci avrebbe certo picchiato fino a levarci la pelle. Ricordo che una volta, scappando via al solito su le furie, s’imbattè in me per una delle stanze abbandonate; m’afferrò per il mento, me lo strinse forte forte con le dita, dicendomi: ― Bellino! bellino! bellino! ― e accostandomi, man mano che diceva, sempre più il volto al volto, con gli occhi negli occhi, finchè poi emise una specie di grugnito e mi lasciò, ruggendo tra i denti:

      – Muso di cane!

      Ce l’aveva specialmente con me, che pure attendevo agli strampalati insegnamenti di Pinzone senza confronto più di Berto. Ma doveva esser la mia faccia placida e stizzosa e quei grossi occhiali rotondi che mi avevano imposto per raddrizzarmi un occhio, il quale, non so perchè, tendeva a guardare per conto suo, altrove.

      Erano per me, quegli occhiali, un vero martirio. A un certo punto, li buttai via e lasciai libero l’occhio di guardare dove gli piacesse meglio. Tanto, se dritto, quest’occhio non m’avrebbe fatto bello. Ero pieno di salute, e mi bastava.

      A diciott’anni m’invase la faccia un barbone rossastro e ricciuto, a scàpito del naso piuttosto piccolo, che si trovò come sperduto tra esso e la fronte spaziosa e grave.

      Forse, se fosse in facoltà dell’uomo la scelta d’un naso adatto alla propria faccia, o se noi, vedendo un pover’uomo oppresso da un naso troppo grosso per la sua faccia smunta, potessimo dirgli: ― Questo naso sta bene a me, e me lo piglio; ― forse, dico, io avrei cambiato il mio volentieri, e così anche gli occhi e tante altre parti della mia persona. Ma sapendo bene che non si può, io, rassegnato alle mie fattezze, non me ne curavo più che tanto.

      Berto, al contrario, bello di volto e di corpo (almeno paragonato con me), non sapeva staccarsi dallo specchio e si lisciava e si accarezzava e sprecava denari senza fine per le cravatte più nuove, per i profumi più squisiti e per la biancheria e il vestiario. Per fargli dispetto, un giorno, io presi dal suo guardaroba una marsina nuova fiammante, un panciotto elegantissimo di velluto nero, il gibus, e me ne andai a caccia, così parato.

      Batta Malagna, intanto, se ne veniva a piangere presso mia madre le mal’annate che lo costringevano a contrar debiti onerosissimi per provvedere alle nostre spese eccessive e ai molti lavori di riparazione di cui avevano continuamente bisogno le campagne.

      – Abbiamo avuto un’altra bella bussata! ― diceva ogni volta, entrando.

      La nebbia aveva distrutto sul nascere le olive, a Due Riviere; oppure la fillossera i vigneti dello Sperone. Bisognava piantare vitigni americani, resistenti al male. E dunque, altri debiti. Poi il consiglio di vendere lo Sperone, per liberarsi dagli strozzini, che lo assediavano. E così prima fu venduto lo Sperone, poi Due Riviere, poi San Rocchino. Restavano le case e il podere della Stìa, col molino. Mia madre s’aspettava ch’egli un giorno venisse a dire ch’era seccata la sorgiva.

      Noi fummo, è vero, scioperati, e spendevamo senza misura; ma è anche vero che un ladro più ladro di Batta Malagna non nascerà mai più su la faccia della terra. È il meno che io possa dirgli, in considerazione della parentela che fui costretto a contrarre con lui.

      Egli ebbe l’arte di non farci mancare mai nulla, finchè visse mia madre. Ma quell’agiatezza, quella libertà fino al capriccio, di cui ci lasciava godere, serviva a nascondere l’abisso che poi, morta mia madre, ingojò me solo; giacchè mio fratello ebbe la ventura di contrarre a tempo un matrimonio vantaggioso.

      Il mio matrimonio, invece…

      ― Bisognerà pure che ne parli, eh, don Eligio, del mio matrimonio?

      Arrampicato là, su la sua scala da lampionajo, don Eligio Pellegrinotto mi risponde:

      – E come no? Sicuro. Pulitamente…

      – Ma che pulitamente! Voi sapete bene che…

      Don Eligio ride, e tutta la chiesetta sconsacrata con lui. Poi mi consiglia:

      – S’io fossi in voi, signor Pascal, vorrei prima leggermi qualche novella del Boccaccio o del Bandello. Per il tono, per il tono…

      Ce l’ha col tono, don Eligio. Auff! Io butto giù come vien viene.

      Coraggio, dunque; avanti!

      Fu così.

      Un giorno, a caccia, mi fermai, stranamente impressionato, innanzi a un pagliajo nano e panciuto, che aveva un pentolino in cima a lo stollo.

      – Ti conosco, ― gli dicevo, ― ti conosco…

      Poi, a un tratto, esclamai:

      – To’! Batta Malagna.

      Presi un tridente, ch’era lì per terra, e glielo infissi nel pancione con tanta voluttà, che il pentolino in cima a lo stollo per poco non cadde. Ed ecco Batta Malagna, quando, sudato e sbuffante, portava il cappello su le ventitrè.

      Scivolava tutto: gli scivolavano nel lungo faccione, di qua e di là, le sopracciglia e gli occhi; gli scivolava il naso su i baffi melensi e sul pizzo; gli scivolavano dall’attaccatura del collo le spalle; gli scivolava il pancione languido, enorme, quasi fino a terra, perchè, data l’imminenza di esso su le gambette tozze, il sarto, per vestirgli quelle gambette, era costretto a tagliargli quanto mai agiati i calzoni; cosicchè, da lontano, pareva che indossasse invece, bassa bassa, una veste, e che la pancia gli arrivasse fino a terra.

      Ora come, con una faccia e con un corpo così fatti, Malagna potesse esser tanto ladro, io non so. Anche i ladri, m’immagino, debbono avere una certa impostatura, ch’egli mi pareva non avesse. Andava piano, con quella sua pancia pendente, sempre con le mani dietro la schiena, e tirava fuori con tanta fatica quella sua voce molle, miagolante! Mi piacerebbe sapere com’egli li ragionasse con la sua propria coscienza i furti che di continuo perpetrava a nostro danno. Non avendone, come ho detto, alcun bisogno, una ragione a sè stesso, una scusa, doveva pur darla. Forse, io dico, rubava per distrarsi in qualche modo, pover’uomo.

      Doveva essere infatti, entro di sè, tremendamente afflitto da una di quelle mogli che si fanno rispettare.

      Aveva commesso l’errore di scegliersi la moglie d’un paraggio СКАЧАТЬ