La Legge Delle Regine . Морган Райс
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Читать онлайн книгу La Legge Delle Regine - Морган Райс страница 15

СКАЧАТЬ oro scintillante ed era alta oltre cinque metri. Al centro di tutto, nello spiazzo che era sempre stato tenuto vuoto per sacrificio e incontri, ora si ergeva un piedistallo dorato in cima al quale si trovava una struttura alta quindici metri, ricoperta da un panno di seta bianca. Volusia sorrise: solo lei tra tutta la sua gente sapeva cosa c’era là sotto.

      Volusia sbarcò e i suoi servitori accorsero per aiutarla a scendere mentre raggiungevano lo spiazzo più interno. Vide che un altro vascello veniva portato avanti e il toro più grosso che avesse mai visto venne fatto scendere e condotto da lei da una decina di uomini. Ognuno teneva una spessa fune e conducevano la bestia con estrema attenzione. Questo era un toro speciale, preso dalle Province inferiori: era alto quasi cinque metri, aveva la pelle rossa brillante e un aspetto fortissimo. Era anche infuriato. Faceva resistenza, ma gli uomini lo tenevano saldamente mentre lo conducevano verso la statua.

      Volusia sentì il rumore di una spada che veniva sguainata e si voltò vedendo Aksan, il suo boia personale, accanto a lei con una spada cerimoniale in mano. Aksan era l’uomo più leale che lei avesse mai incontrato, intenzionato a uccidere chiunque lei gli ordinasse di eliminare. Era anche sadico e questa era una cosa che lei apprezzava. In questo modo si era guadagnato il suo rispetto. Era una delle poche persone che avevano il permesso di stare al suo fianco.

      Aksan la guardò con il suo volto infossato e butterato, le corna visibili dietro i fitti capelli ricci.

      Volusia allungò un braccio e prese la lunga spada cerimoniale dorata con la lama lunga quasi due metri e la tenne stretta con due mani. Un subitaneo silenzio calò tra il popolo mentre si voltava, sollevava in alto la spada e la calava sul collo del toro con tutte le sue forze.

      La lama, affilatissima e sottile come pergamena tagliò perfettamente e Volusia sorrise udendo il soddisfacente suono del metallo che lacerava la carne. La lama scese del tutto e il sangue caldo le spruzzò il viso. Schizzò ovunque e una grossa pozza si formò ai suoi piedi. Il toro barcollò, senza testa, e cadde alla base della statua ancora ricoperta. Il sangue scorse sulla seta e sull’oro, macchiandoli mentre la folla esultava.

      “Un grandioso presagio, mia signora,” disse Aksan.

      Le cerimonie avevano avuto inizio. Tutt’attorno a lei risuonarono le trombe e centinaia di animali vennero portati avanti mentre i suoi ufficiali li macellavano da ogni parte. Sarebbe stata una lunga giornata di uccisioni, violenze e abbuffate di vino e cibo. E tutto si sarebbe ripetuto per un altro giorno e poi per un altro ancora. Volusia si sarebbe accertata di parteciparvi, avrebbe preso del vino e degli uomini per sé e avrebbe tagliato loro la gola come sacrificio ai suoi idoli. Non vedeva l’ora che si dispiegasse quella lunga giornata di sadismo e brutalità.

      Ma prima c’era ancora una cosa da fare.

      La folla fece silenzio mentre Volusia saliva sul piedistallo alla base della sua statua e si voltava a guardare la sua gente. Dall’altra parte salì Koolian, un altro fidato consigliere, uno stregone di magia nera con indosso un mantello con cappuccio nero. Aveva occhi verdi e scintillanti e il volto pieno di verruche. Era la creatura che l’aveva aiutata e condotta all’assassinio di sua madre. Era stato lui, Koolian, ad avvisarla di costruire quella statua per sé.

      La gente la guardava più in silenzio possibile. Lei attese assaporando la tensione del momento.

      “Grande gente di Volusia!” disse con voce tonante. “Vi presento la statua della vostra nuova e più potente divinità!”

      Con un gesto plateale Volusia tirò il panno di seta e la folla sussultò.

      “La vostra nuova dea, la quindicesima dea, Volusia!” gridò Koolian.

      La gente sussurrò in contemplazione guardando la statua con meraviglia. Volusia rivolse uno sguardo alla statua d’oro scintillante, alta il doppio delle altre, che la rappresentava perfettamente. Attese nervosa per vedere come avrebbe reagito il suo popolo. Erano secoli che nessuno introduceva nuove divinità e lei era curiosa di vedere se il loro amore per lei era così forte quanto lei aveva bisogno che fosse. Non aveva solo bisogno che la amassero: voleva che la adorassero.

      Con sua grande soddisfazione la gente, tutta insieme, si inchinò all’unisono con il volto a terra, adorando l’idolo.

      “Volusia,” cantarono con voce pregna di sacralità, ripetendo più volte il suo nome. “Volusia, Volusia.”

      Volusia rimase lì in piedi con le braccia aperte in fuori, godendosi il momento. Era abbastanza da rendere soddisfatto qualsiasi essere umano. Qualsiasi capo. Qualsiasi dio.

      Ma non era ancora abbastanza per lei.

      *

      Volusia camminava attraverso l’ampio arco di ingresso al suo castello, passando tra colonne di marmo alte trenta metri e atri accerchiati da giardini e guardie, soldati dell’Impero che stavano sull’attenti con le loro lance dorate in mano. Se ne vedevano a perdita d’occhio. Camminava lentamente facendo risuonare i tacchi d’oro dei suoi stivali accompagnata da Koolian da una parte – il suo stregone – da Aksan dall’altra – il suo assassino – e da Soku, il comandante del suo esercito.

      “Mia signora, se posso fare solo una parola con voi,” le disse Saku. Era tutto il giorno che cercava di parlarle, ma lei lo aveva ignorato. Non era interessata nelle sue paure, nelle sue fissazioni sulla realtà. Lei aveva la sua realtà e si sarebbe rivolta a lui quando le sarebbe stato comodo.

      Volusia continuò a camminare fino a che raggiunse l’accesso a un altro corridoio, questa volta ricoperto da perle di smeraldo. Immediatamente accorsero dei soldati che aprirono i portoni per permetterle di passare.

      Quando fu all’interno i canti, le grida e i festeggiamenti delle cerimonie sacre che si stavano svolgendo all’esterno divennero più soffusi. Volusia aveva avuto una lunga giornata di uccisioni, bevute, violenze e festeggiamenti e ora voleva un po’ di tempo per sé. Si sarebbe ricaricata e poi sarebbe tornata alla carica.

      Entrò nella stanza solenne, buia e pesante, illuminata solo da poche torce. Ciò che illuminava di più la camera era la sfumatura di luce verde che scendeva dall’apertura in alto al centro del soffitto alto trenta metri, apertura che si trovava proprio sopra l’unico oggetto posizionato al centro della stanza.

      La lancia di smeraldo.

      Volusia vi si avvicinò in ammirazione. Era lì ormai da secoli e puntava dritta verso la luce. Con la sua asta di smeraldo e la punta pure di smeraldo, luccicava al sole, puntata verso il cielo come a sfidare gli dei. Era sempre stato un oggetto sacro per il suo popolo, un oggetto che si credeva sostenesse la città. Si fermò davanti ad essa ammirandola, osservando il vortice di particelle di luce verde attorno ad essa.

      “Mia signora,” disse Soku a voce bassa che riecheggiò comunque nel silenzio. “Posso parlare?”

      Volusia rimase ferma a lungo dandogli la schiena, esaminando la lancia e ammirando la maestria della sua fattura come aveva fatto ogni giorno della sua vita. Alla fine si sentì pronta per le parole del suo consigliere.

      “Puoi,” gli disse.

      “Mia signora,” disse. “Hai ucciso il comandante dell’Impero. Sicuramente la voce si è diffusa. Ci saranno eserciti in marcia verso Volusia già adesso. Eserciti enormi, talmente grossi da non poterci difendere contro di essi. Dobbiamo prepararci. Qual è la tua strategia?”

      “Strategia?” gli chiese Volusia senza ancora guardarlo, seccata.

      “Come pensi di concordare СКАЧАТЬ