Tramutata . Морган Райс
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СКАЧАТЬ notò che altri ragazzi riempivano dei sacchettini di plastica con ciò che avevano in tasca. Fece velocemente lo stesso anche lei, inserendo nel sacchetto il suo i-pod, il portafoglio e le chiavi.

      Passò lentamente sotto il detector e l’allarme suonò.

      “TU!” disse seccamente la guardia. “Di lato!”

      Ovvio.

      Tutti la guardavano mentre le facevano alzare le braccia e la guardia le faceva passare lo scanner manuale lungo il corpo.

      “Hai addosso dei gioielli?”

      Lei si passò le mani sui polsi, poi attorno al collo, e di colpo ricordò. La croce.

      “Toglila,” disse rudemente la guardia.

      Era la collana che sua nonna le aveva regalato prima di morire: una piccola croce d’argento, con incisa un’iscrizione latina che non aveva mai tradotto. La nonna le aveva detto che le era stata data a sua volta da sua nonna. Caitlin non era religiosa e non capiva veramente che significato avesse, ma sapeva che aveva centinaia di anni ed era per certo la cosa più preziosa che possedesse.

      Caitlin la sollevò fuori dalla maglietta tenendola alta, ma senza sfilarla.

      “Preferirei di no,” rispose.

      La guardia la fissò con occhi freddi come il ghiaccio.

      Di colpo vi fu un improvviso trambusto. Si udirono delle urla mentre un poliziotto afferrava un ragazzo alto e magro e lo spingeva contro il muro, requisendogli un coltellino dalla tasca.

      La guardia si avvicinò per dare una mano e Caitlin colse l’occasione per scivolare tra la folla, portandosi verso l’atrio.

      Benvenuta alla scuola pubblica di New York, pensò Caitlin. Fantastico.

      Già contava i giorni che mancavano agli esami.

      *

      I corridoi erano i più larghi che avesse mai visto. Non poteva credere che potessero venire riempiti di gente, eppure in qualche modo erano completamente gremiti, con tutti i ragazzi ammassati spalla contro spalla. Dovevano esserci migliaia di ragazzi in quei corridoi, una marea di volti che si dispiegava all’infinito. Il rumore là dentro era ancora peggio, rimbalzava contro le pareti, condensato. Avrebbe voluto tapparsi le orecchie. Ma non c’era lo spazio neanche di un gomito per sollevare la braccia. Provava un senso di claustrofobia.

      La campanella suonò e l’energia aumentò.

      Già in ritardo.

      Si guardò in giro alla ricerca del cartellino della sua aula e finalmente la scorse in lontananza. Tentò di attraversare il mare di corpi, ma non riusciva ad andare da nessuna parte. Alla fine, dopo diversi tentativi, capì che doveva solo essere più aggressiva. Iniziò a sgomitare e spintonare in risposta ai colpi degli altri. Sorpassando un corpo alla volta, oltrepassò tutti i ragazzi, attraverso l’ampio corridoio e spinse la pesante porta della sua classe entrando.

      Si tenne forte mentre tutti la guardavano, lei, la ragazza nuova che era arrivata in ritardo. Pensava che l’insegnante l’avrebbe rimproverata per aver interrotto il silenzio. Ma si rese conto con stupore che non era proprio il caso. Quell’aula, ideale per trenta persone ma contenente una cinquantina, era stipata. Alcuni sedevano sulle sedie, altri camminavano lungo le corsie gridando e chiamandosi l’un l’altro. Era un manicomio.

      La campanella era suonata da cinque minuti buoni eppure l’insegnante, tutto scompigliato e con indosso abiti spiegazzati, non aveva neanche iniziato la lezione. Anzi, stava seduto con i piedi sulla scrivania a leggere il giornale, ignorando tutti.

      Caitlin gli si avvicinò mettendo la sua nuova carta d’identità sulla scrivania. Rimase lì in piedi aspettando che lui sollevasse lo sguardo, ma ciò non avvenne.

      Alla fine decise di schiarirsi la voce.

      “Mi scusi.”

      Lui abbasso di malavoglia il giornale.

      “Sono Caitlin Paine. Sono nuova. Credo di doverle consegnare questa.”

      “Sono solo un supplente,” rispose lui e risollevò il giornale chiudendo il discorso.

      Lei rimase lì, confusa.

      “Allora,” chiese, “… lei non segna le presenze?”

      “Il tuo insegnante torna lunedì,” disse seccato. “Se ne occuperà lui.”

      Capendo che la conversazione era terminata, Caitlin si riprese la carta d’identità.

      Si voltò e diede uno sguardo alla stanza. Il caos non si era interrotto. Se c’era un aspetto positivo, era che almeno lei non era al centro dell’attenzione. Nessuno lì sembrava curarsi di lei, né addirittura accorgersi della sua presenza.

      D’altro canto, guardare quella stanza piena zeppa era esasperante: sembrava non fosse rimasto alcun posto per sedersi.

      Si fece forza e, tenendo stretto il suo diario, tentò di camminare lungo una delle corsie, trasalendo un paio di volte mentre procedeva tra ragazzi turbolenti che si gridavano contro. Quando raggiunse il fondo della stanza, poté finalmente avere una visione dell’intera aula.

      Non una sedia libera.

      Rimase lì in piedi, sentendosi un’idiota, e percepì anche che gli altri ragazzi iniziavano a notarla. Non sapeva cosa fare. Non aveva certo intenzione di rimanere lì tutto il tempo, ma sembrava che al supplente non potesse importare di meno. Si voltò nuovamente a guardare, cercando senza speranze.

      Sentì una risata provenire da un paio di corsie più in là, ed ebbe la certezza che fosse rivolta a lei. Non era vestita come quei ragazzi e non assomigliava per niente a loro. Le guance le arrossirono mentre iniziava a sentirsi veramente sotto gli occhi di tutti.

      Proprio mentre si stava decidendo ad uscire dalla stanza, e forse anche dalla scuola, udì una voce.

      “Qui.”

      Si voltò.

      Nell’ultima fila, accanto alla finestra, un ragazzo alto si alzò dal suo banco.

      “Siediti,” disse. “Per favore.”

      La stanza si fece un po’ più silenziosa, mentre gli altri aspettavano di vedere come lei avrebbe reagito.

      Gli si avvicinò. Cercò di non guardarlo dritto negli occhi – grandi, verdi e luccicanti – ma non poté farne a meno.

      Era bellissimo. Aveva pelle liscia e olivastra – non riusciva a capire se fosse nero, spagnolo, bianco, o magari una qualche combinazione – ma non aveva mai visto una pelle così liscia e soffice combinata con una mascella così ben modellata. Aveva i capelli corti e castani ed era magro. C’era qualcosa in lui, un qualcosa di completamente fuori luogo lì. Sembrava fragile. Un artista, forse.

      Non era da lei rimanere colpita da un ragazzo. Aveva sempre visto le sue amiche prendere delle cotte, ma non aveva mai veramente capito. Fino ad ora.

      “E tu? Dove ti siedi?” gli chiese.

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