Название: Il ritorno dell’Agente Zero
Автор: Джек Марс
Издательство: Lukeman Literary Management Ltd
Жанр: Современные детективы
Серия: Uno spy thriller della serie Agente Zero
isbn: 9781094310022
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Il SUV avanzò nelle strade di Parigi.
CAPITOLO SEI
Yuri, che era stato tanto chiacchierone e animato dentro il bar francese, fu stranamente silenzioso durante il viaggio in auto. Aprì un compartimento lungo il sedile e ne estrasse un libro consumato e con la copertina strappata: il Principe di Machiavelli. Il professore dentro Reid avrebbe voluto sbuffare ad alta voce.
I due scagnozzi seduti davanti a lui rimasero muti, con gli occhi fissi in avanti come se stessero cercando di trapanargli il cranio. Memorizzò rapidamente i loro lineamenti: l’uomo sulla sinistra era rasato, bianco, con scuri baffi a manubrio e occhietti piccoli e scintillanti. Aveva una TEC-9 sotto la spalla e una Glock 27 infilata in una fondina da caviglia. Una cicatrice pallida e frastagliata sopra il sopracciglio sinistro suggeriva un rattoppo grossolano (non troppo diverso da quella che avrebbe avuto Reid, una volta che fosse guarito dal suo intervento con la supercolla). La nazionalità dell’uomo era indistinguibile.
Il secondo scagnozzo era leggermente più scuro, con una barba folta e incolta e una grossa pancia. La spalla sinistra sembrava leggermente cadente, come se preferisse caricare il peso sul fianco opposto. Anche lui aveva una pistola automatica infilata sotto un braccio, ma nessun’altra arma che Reid riuscisse a vedere.
Tuttavia aveva notato il marchio sul suo collo. La pelle era rosata e raggrinzita, leggermente rialzata per la bruciatura. Era lo stesso marchio che aveva visto sul gigante arabo nello scantinato. Un qualche genere di glifo, ne era certo, ma non uno che riuscisse a riconoscere. Sembrava che l’uomo con i baffi non l’avesse, anche se la maggior parte del suo collo era nascosta dalla maglietta.
Neanche Yuri pareva avere il marchio, almeno non dove Reid potesse vederlo. Il colletto della giacca di velluto nero era piuttosto alto. Forse è uno status symbol, pensò. Qualcosa che deve essere guadagnato.
L’autista diresse il veicolo sull’A4, lasciandosi Parigi alle spalle e dirigendosi a nord-est verso Reims. Le finestre tinte rendevano la notte ancora più buia, una volta usciti dalla Città delle Luci, era difficile per Reid distinguere qualsiasi punto di riferimento. Dovette fare affidamento sui cartelli stradali per sapere dove erano diretti. Il panorama mutò da un luminoso ambiente urbano a una topografia bucolica e rilassata. L’autostrada seguiva le curve gentili del terreno e fattorie si alzavano da ogni lato.
Dopo un’ora di viaggio in assoluto silenzio, Reid si schiarì la gola. “Ci vuole ancora molto?” chiese.
Yuri si portò un dito alle labbra e poi sorrise. “Oui.”
Reid allargò le narici, ma non disse altro. Avrebbe dovuto chiedergli dove avevano intenzione di portarlo; per quel che ne sapeva erano diretti in Belgio.
La Route A4 divenne l’A34, che a sua volta sfociò nell’A304 man mano che salivano verso nord. Gli alberi che punteggiavano la campagna diventarono più grossi e fitti, enormi abeti presero il posto delle fattorie aperte racchiudendoli in una foresta. La pendenza della strada aumentò e le colline gentili si trasformarono in piccole montagne.
Conosceva quel posto. O meglio, conosceva la regione, e non per via delle visioni lampeggianti o delle sue memorie misteriose. Non era mai stato lì, ma sapeva dai suoi studi che avevano raggiunto le Ardenne, una zona montagnosa e ricca di foreste divisa tra la Francia nord-orientale, il Belgio meridionale e il Lussemburgo settentrionale. Era stato nelle Ardenne che l’esercito tedesco, nel 1944, aveva tentato di mandare le sue divisioni armate attraverso la foresta nel tentativo di catturare la città di Antwerp. Era stato ostacolato dalle forze americane e inglesi vicino al fiume Mosa. Il conflitto che ne era risultato era stato chiamato l’Offensiva delle Ardenne ed era stato l’ultimo importante attacco dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale.
Per qualche motivo, nonostante la sua situazione fosse, o sarebbe potuta presto diventare, disastrosa, trovò una piccola misura di conforto nel pensare alla storia, alla sua vita passata e ai suoi studenti. Ma poi la sua mente tornò sulla possibilità che le sue ragazze rimanessero da sole, spaventate e senza alcuna idea di dove fosse o in che guaio si fosse cacciato.
Ben presto, Reid vide un cartello che segnalava l’avvicinarsi del confine. Belgique, diceva il cartello, e sotto Belgien, België, Belgium. Meno di due miglia dopo, il SUV rallentò fino a fermarsi a una piccola cabina con una copertura di cemento. Un uomo in un pesante cappotto e un cappello di lana sbirciò verso il veicolo. I controlli alla frontiera tra Francia e Belgio erano tutt’altra cosa rispetto a quello a cui erano abituati gli americani. L’autista abbassò il finestrino e parlò all’uomo, ma le sue parole furono soffocate dal vetro e dai finestrini sul retro. Reid scrutò attraverso la vernice che oscurava i vetri e vide il braccio dell’autista tendersi per passare qualcosa all’agente di confine: una banconota. Una bustarella.
L’uomo con il cappello di lana li lasciò passare.
Solo qualche miglio lungo la N5, il SUV uscì dall’autostrada per prendere una stradina stretta che passava parallela alla via principale. Non c’erano cartelli d’uscita e la strada stessa era a malapena pavimentata: era una via d’accesso, probabilmente creata per i mezzi per il disboscamento. L’auto sobbalzò sopra i tagli profondi scavati nella terra. I due scagnozzi si rimbalzarono addosso davanti a Reid, ma continuarono a fissarlo impassibili.
Lui controllò l’economico orologio che aveva comprato in farmacia. Erano passate due ore e quarantasei minuti da quando si erano messi in viaggio. La notte prima era stato in America, poi si era risvegliato a Parigi, e ora era in Belgio. Rilassati, ripeté il suo subconscio. Non sono mete nuove per te. Fai solo attenzione e tieni la bocca chiusa.
Su entrambi i lati della strada sembrava esserci solo una densa boscaglia. Il SUV continuò, salendo lungo il fianco di una montagna e poi scendendo di nuovo. Nel frattempo Reid guardava fuori dal finestrino, fingendosi disinteressato ma in realtà alla ricerca di qualsiasi segno o cartello che gli dicesse dove erano, possibilmente qualcosa che avrebbe potuto riportare in seguito alle autorità, se ce ne fosse stato bisogno.
Davanti apparvero luci, anche se da quell’angolazione non riusciva a vederne la fonte. Il SUV rallentò di nuovo fino a fermarsi. Reid vide una recinzione nera di ferro battuto, ogni palo con una punta acuminata, che si estendeva per ogni lato svanendo nell’oscurità. Accanto alla loro auto c’era una piccola guardiola fatta di vetro e grossi mattoni, illuminata dall’interno da una luce fluorescente. Ne emerse un uomo. Indossava pantaloni eleganti e una giacca da marinaio, con il colletto alzato attorno al collo e una sciarpa grigia annodata attorno alla gola. Non fece alcun tentativo di nascondere il MP7 con silenziatore che gli pendeva da una cinghia sulla spalla destra. In effetti, mentre si avvicinava all’auto, strinse la pistola automatica, seppur senza alzarla.
Heckler & Koch, variante di produzione del MP7A1, disse la voce della testa di Reid. Silenziatore da sette virgola uno pollice. Mirino reflex. Caricatore da trenta colpi.
L’autista abbassò il finestrino e parlò con l’uomo per qualche secondo. Poi la guardia fece il giro del SUV e aprì la porta dal lato di Yuri. Si chinò e sbirciò nell’auto. Reid colse l’odore del whisky e fu colpito dalla ventata gelida che entrò con esso. L’uomo li guardò tutti, uno dopo l’altro, soffermandosi più a lungo su di lui.
“Kommunikator,” disse Yuri. “Chtoby uvidet’ nachal’nika.” Russo. Messaggero, per vedere il capo.
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