Название: La Tempesta
Автор: Уильям Шекспир
Издательство: Public Domain
Жанр: Драматургия
isbn:
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Di due clessidre almeno. Il tempo che ci resta fra l'ora sesta e adesso, noi dobbiamo sagacemente spenderlo.
V'è ancora da lavorare? Poichè tu mi dai tante fatiche lascia ch'io rammenti la tua promessa ancor non mantenuta.
Che c'è di nuovo, spirito bizzarro, e che puoi dimandarmi ora?
La mia libertà!
Prima ancora che sia giunto il tempo? Basta!
Te ne prego, almeno rammenta i degni uffici che ti ho fatto, nè ho mai mentito nè ho sbagliato mai. E ti ho servito senza brontolare, senza rancori! Tu mi promettesti di condonarmi un anno intiero.
Hai forse dimenticato da qual mai supplizio ti liberai?
No.
Sì! Per questo credi far grandi cose sol perchè calpesti il fango dell'amaro abisso e scorri sull'aspro vento settentrionale e—per il mio servigio—entro le vene della Terra ti chiudi allor che il gelo la stringe tutta.
Non è ver, signore!
Tu mentisci, o maligno spirto. Hai dunque dimenticato Sicoràx, l'infame strega che gli anni e che l'invidia al pari di un cerchio avean ricurva? Dimmi, l'hai dimenticata?
No, signore.
L'hai dimenticata! Ove era nata? Dimmi!
In Algeri, o signore!
Ah sì? Da vero? Ben una volta al mese è necessario ch'io ti ripeta quel che fosti. E tu l'hai già dimenticato. Quella strega malvagia, Sicoràx, come tu sai fu bandita da Algeri per delitti innumeri e incantesimi capaci di spaventare umano orecchio e pure le salvaron la vita in prò di certa sua azione. Non è vero?
Sì, o signore.
Cotesta fattucchiera dall'occhio cispellino fu condotta quivi col figlio e abbandonata dalla ciurma. E tu, schiavo mio, come sovente mi hai narrato, eri suo servo e perchè eri uno spirto troppo delicato per compiere le infami e obbrobriose sue volontà, ti rifiutasti ai gravi ordini che ti dava e allor nell'impeto dell'implacabil ira ella ti chiuse —di possenti ministri con l'aiuto— nello spacco di un pino e dentro quelle strette pareti dodici anni intieri crudelmente restasti prigioniero. E in questo tempo ella morì lasciando te a gemere là dentro, con sospiri più rapidi dei gemiti che fanno le ruote di un molino. Allora questa isola—se n'eccettui quel figlio ch'ella avea partorito, un mostricciuolo lentigginoso e degno di sua stirpe— non era anco onorata da un'umana forma.
Sì, Calibàno, il figlio suo.
È quel che dico, spirto mentecatto! Ed è appunto quel Calibàn che tengo al mio servizio. Tu sai bene in quali tormenti ti trovai. Faceano urlare i lupi le tue grida e i furiosi orsi a pietà muovevano. Un tormento di dannato. E non era più presente Sicoràx per disfar l'opera sua. Fu l'arte mia che ben costrinse il pino a riaprirsi e ti lasciò partire allorchè quivi giunto io ti sentii.
Grazie, o signore.
Se tu gemi ancora io squarcerò una rovere e sì dentro ti chiuderò nel suo nodoso ventre che resterai ben dodici anni a urlare.
Perdonami, o signore, ai tuoi comandi obbedirò di buona grazia e tutto farò da buono spirito.
Sta bene e fra tre giorni ti libererò.
Ecco di nuovo il mio nobil padrone! Che debbo fare? Dimmelo, che debbo fare?
Va' con l'aspetto di una ninfa del mare a tutti gli occhi occulto e solo visibile alla tua vista e alla mia. Va': prendi questa forma e poi ritorna così cambiato qui. Sii diligente.
ARIELE exit.
A Miranda.
Svegliati, cuore mio, svegliati, hai bene dormito ed ora svegliati.
svegliandosi.
Lo strano vostro racconto mi assopiva.
Scuoti quel tuo torpor. Vieni: visiteremo Calibàno il mio schiavo che nessuna buona parola ha mai per noi.
Signore, è un villano costui nè mai lo veggo volentieri.
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