Название: Il Vero E Il Verosimile
Автор: Guido Pagliarino
Издательство: Tektime S.r.l.s.
Жанр: Современная зарубежная литература
isbn: 9788873043294
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Finalmente, d'accordo col Tirlotti e testimone l'erede, era stata assunta l'ammutinata decisione di chiamare un fabbro a scassinare la cassaforte; intanto, senza più indugi, si sarebbe cominciato a produrre per Roma.
Uno dei principali compiti del giovane Seta era divenuto, intanto, quello di passare freneticamente da debitori dell'azienda a sollecitare pagamenti e, raramente, a incassare fatture, e molte volte pure villanie, correndo poi da notai a pagare cambiali del cavaliere prossime al protesto; infatti la crisi, o addirittura la bancarotta, di molti clienti per la congiuntura negativa ormai gravissima, aveva ridotto a un bicchierino la liquidità dell'industria Pittò.
Perciò, quando il ladro Dialzi era nuovamente venuto a elemosinare, l'ultima volta solo due giorni prima della spensierata vacanza del cavaliere, era stato finalmente allontanato e senza un soldo. Prima d'andarsene, aveva però detto al suo antico principale: "Ricòrdati quello che solo tu ed io sappiamo!" e il dottore e Bruno avevano sentito. "Si dà nno del tu?!" s'era stupito il giovane.
Scassinata la cassaforte, dove peraltro il denaro era del tutto assente, e prelevato il contratto, mentre il Fringuella e il Tirlotti andavano a leggerselo in ufficio e il fabbro ripristinava i meccanismi della porta, l'erede era rimasto di guardia; e, nell'attesa, il suo sguardo era stato attratto da un pacchetto di lettere. Erano indirizzate allo zio e, come avrebbe poi capito, tutte di mano del Dialzi. Non vincendo la curiosità , dopo aver esitato per un minuto buono, le aveva prese e, un poco discosto, s'era seduto a leggerne una.
Iniziava così: Caro padre...
Il mittente preannunciava una sua prossima visita e invitava il cavaliere a preparare il denaro.
Bruno, visto che l'artigiano stava per terminare, s'era tenute le lettere per leggerle tutte e con comodo dopo il lavoro, sperando che lo zio rimanesse in vacanza ancora per qualche tempo. S'era fatto consegnare una delle due nuove chiavi, mentre aveva lasciato l'altra al Fringuella; il giorno dopo, avrebbe riposto le missive nella cassa blindata.
La sera, a casa, prima di cena, senza nulla dire al papà per timore d'esserne rimproverato, aveva letto. Le lettere cominciavano tutte col Caro padre e annunciavano una prossima visita in fabbrica del Dialzi; c'erano poi, diverse da missiva a missiva, considerazioni varie: rimembranze, l'ammissione d'avere l'invincibile passione del gioco, lamentazioni di miseria e richieste di perdono; in una, sottolineata, l'accusa al Pittò dâessere stato irriconoscente, ché molto della bellissima posizione che aveva raggiunto era da attribuirsi a lui, il sottopagato collaboratore tuttofare.
Era venuto in chiaro che il Dialzi era figlio naturale dell'industriale, avuto, prima del matrimonio con la prozia, da una donna che non era nominata, morta subito dopo il parto, e affidato immediatamente dal padre a un orfanotrofio, ma seguito poi sempre da lui che, alla giusta età , l'aveva preso con sé in azienda. Mai, però, l'aveva voluto riconoscere, perché troppo temeva il parere della gente: in quegli anni cose del genere potevano infatti chiudere l'accesso all'ambiente borghese, perché erano considerate colpe vergognosissime; non si pensava che, semmai, colpa era lâabbandonare un figlio come orfano.
Il cavaliere pagava il Dialzi per timore che rivelasse la sua origine? No, era invece per affetto e il figlio stesso lo riconosceva in quegli scritti. Semmai, doveva essere lui a non provare affatto amore per il padre naturale; anzi, tra le righe s'insinuavano disprezzo e rabbia. A suo tempo il Pittò, com'era chiaramente scritto, aveva fatto al figlio la promessa di lasciarlo erede. Poi, disgustato dai furti, scacciandolo, l'aveva ritirata; ma non col cuore di non più rivederlo. Neppure aveva resistito all'impulso di dargli denaro, almeno fin a quando ciò era stato possibile, e ufficialmente con la scusa dâun prestito da restituire non appena l'altro avesse trovato un nuovo lavoro.
Il Dialzi sarebbe morto tre mesi dopo lo scasso della cassaforte, sfracellato in un burrone sulla sua fuoriserie acquistata a cambiali, dopo aver perso gli ultimi liquidi in una bisca.
Bruno aveva riposto le lettere in cassaforte prima che il Fringuella, il quale aveva portato il contratto a fotografare, lo rimettesse a posto: a quei tempi, le comode macchine fotocopiatrici erano ancora un bel sogno.
Nulla mai Bruno avrebbe detto allo zio; si sarebbe confidato col padre, ma solo alla notizia della morte del Dialzi pubblicata dai giornali.
Il cavaliere era tornato al lavoro una settimana dopo l'apertura della cassa blindata e, trovatosi di fronte al fatto compiuto, era stato contento che gli altri avessero deciso per lui, perché la iella, come aveva detto al nipote fingendo di scherzare, sarebbe caduta su di loro.
Sebbene la produzione fosse ormai iniziata da giorni, forte era il timore di non riuscire a consegnare puntualmente; a suo tempo il principale avrebbe fatto meglio a recarsi a Roma col perito, invece che col nipote portaborse. Il Tirlotti avrebbe potuto manifestare alla controparte che il tempo fissato per la consegna era imprudentemente vicino e chiedere una scadenza un po' più distante; e se non fosse stato possibile, almeno non si sarebbe firmato il contratto. Peggio, s'era poi perso tal tempo all'inizio, che non era ormai probabile una spedizione puntuale.
Purtroppo l'accordo, come temuto dal dottor Fringuella, prevedeva, anche solo per un lieve ritardo, il mancato ritiro della merce, nessun pagamento e il diritto a una grossa cifra a titolo di risarcimento; e s'era riusciti a spedire a tempo soltanto un piccolo acconto di merce. Invano il direttore amministrativo aveva cercato dâottenere dilazioni: il materiale doveva servire per un film storico colossal, coproduzione italo americana, qualche miliardo di lire d'allora di spesa2 , attori provenienti da mezzo mondo, e non si poteva ritardare neppure d'un giorno l'inizio delle riprese. Stavano usando la solita cartapesta al posto della polvere per costruire montagne, avevano sentenziato al telefono contro il dottore; quanto all'acconto, era loro pieno diritto contrattuale di trattenerselo, a titolo di prima rata del risarcimento. Proprio un bell'accordo ghigliottina aveva firmato il cavaliere! Insomma, era stato un disastro; e pensare che, con una sola settimana in più, lavorando a pieno ritmo si sarebbe riusciti. Colpa del Pittò, senza dubbio, per la sua maledetta superstizione.
Cosa fare? Un bel niente; erano stati gli altri che avevano fatto, e immediatamente: una severissima lettera del loro avvocato che domandava, perentorio, il saldo della penale.
Il cavaliere aveva impulsivamente accusato il dottor Fringuella d'aver dato ordine di produrre senza il suo consenso: "...e adesso potrei chiedere io i danni a lei, per la merce trattenuta dal cliente e quella invenduta nei magazzini!"
"Lei è un imbecille!" gli aveva sparato in risposta, insultandolo per la prima e non ultima volta, l'inviperito direttore amministrativo, con la bocca a pochi centimetri da quella del principale e spruzzandogliela di saliva e fiele.
Intimidito, girati i tacchi, lâaltro se l'era svignata, battendo come al solito le mani tra di loro, ma debolmente e solo sospirando: "Schifoso, schifoso..."; però, non appena l'imprenditore era svoltato nel vicino corridoio, il rumore dei suoi passi, improvvisamente, era stato coperto da un altro inequivocabile suono, il rintronare d'una formidabile, intrattenuta scoreggia e a questa era seguito, quasi altrettanto potente, un disperato: "Dottore delle palle!"
Il Fringuella era corso verso la voce, ma giunto al corridoio non aveva più trovato nessuno, talmente il cavaliere era stato lesto nellâeclissarsi.
Negli ultimissimi tempi il direttore aveva preso, o ripreso, a bere smodatamente, non solo a pranzo ma, come si capiva dall'alito al suo arrivo, fin dalla prima colazione. Era quindi divenuto, a poco a poco, nientâaffatto utile alla ditta, per non dire dannoso; e aveva preso l'abitudine d'aggredire, a parole, non solo il Pittò ma pure l'erede. Bruno si chiedeva se l'uomo, sotto spirito alcolico, vedesse СКАЧАТЬ