Название: Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12
Автор: Edward Gibbon
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
isbn:
isbn:
Il virtuoso Enrico morì a Tessalonica, ove, per difendere il regno e il figlio ancor fanciullo dell'amico suo Bonifazio erasi trasportato. Tutta la linea maschile de' Conti di Fiandra colla morte de' due primi Imperatori di Costantinopoli rimaneva estinta; ma la lor sorella Jolanda era moglie di un principe francese e madre di numerosa prole. Una figlia di lei avea per marito Andrea, Re d'Ungheria, prode e pio campion della Croce; dal quale, col farlo Imperatore, i Baroni di Romania i soccorsi d'un possente e vicin regno sarebbersi procacciati; ma mostratosi il saggio Andrea rispettoso alle leggi della successione, i Latini sollecitarono la principessa Jolanda e il marito di lei Pietro di Courtenai, Conte di Auxerre a trasportarsi a Costantinopoli per ivi cingere il diadema d'imperator d'Oriente. Chiaro per paterna origine e per regale legnaggio della sua madre, come il più prossimo parente del lor Monarca, i Baroni francesi lo rispettavano. Aggiugnevansi a favor di Pietro luminosa fama, vasti possedimenti, e i suffragi degli ecclesiastici e de' soldati, rimasti egualmente soddisfatti del fatale zelo e del valore di questo guerriero nella sanguinosa crociata che contro gli Albigesi fu impresa. Certamente la vanità de' Francesi doveva esser paga in veggendo un uomo di lor nazione sul trono di Costantinopoli: ma la prudenza avrebbe fatto vedere che meno invidia che compassione si meritava l'uomo che a grandezza tanto fallace e pericolosa aggiugnea. Per sostenere con dignità il nuovo grado, Courtenai si vide primieramente costretto a vendere, o impegnare la più ricca parte del suo patrimonio. Sol per questi espedienti, e soccorso dalla liberalità del suo parente Filippo Augusto, e dallo spirito di cavalleria che per tutta la Francia dominava, si trovò in istato di passar l'Alpi, condottiero di cenquaranta cavalieri e di cinquemila cinquecento arcieri, o sergenti. Dopo qualche esitanza, il Pontefice Onorio III si arrendè a coronare questo nuovo successore di Costantino, avuta però la cautela di compire la cerimonia in una chiesa posta fuori del ricinto della città, per tema, non venisse supposto che questa conferisse al nuovo unto alcun diritto di sovranità sulla capitale antica del Mondo. Ben si obbligarono i Veneziani a trasportare oltre il mare Adriatico Pietro e le sue truppe, e fin nella reggia di Bisanzo l'Imperatrice co' suoi quattro figli; ma per premio dell'agevolato tragetto, pretesero dal nuovo Imperatore ch'ei si accignesse a riprender Durazzo, allor dominata dal despota dell'Epiro. Michele l'Angelo o Comneno, il primo della dinastia d'Epiro avea lasciata in retaggio la sua possanza e ambizione al fratello Teodoro, che già minacciava e assaliva i latini possedimenti. Dopo avere Pietro soddisfatto con un inutile assalto il suo debito, si vide alla necessità di levare l'assedio, e di terminare per terra fino a Tessalonica il suo rischioso cammino. Smarritosi fra le montagne dell'Epiro, si scontrò in gole affortificate e difese; le vettovaglie mancarongli; perfide apparenze di negoziazione ancora gli porsero indugi. Infine Pietro di Courtenai e il Legato romano si trovarono arrestati, mentre uscivano d'un banchetto; per lo che le truppe francesi prive di Capo e di modi per sostenersi, e adescate dall'ingannevol promessa di essere nudrite e umanamente trattate, cedettero l'armi. Il Vaticano sull'empio Teodoro lanciò le sue folgori, minacciandolo della vendetta della terra e del cielo. Ma poichè le querele del Pontefice al suo Legato sol riferivansi, l'Imperatore e i soldati del medesimo prigionieri dimenticò, concedendo perdono, o a dir meglio protezione al despota dell'Epiro, che appena liberato il Legato, promise obbedienza spirituale all'appostolica sede di Roma. I comandi assoluti di Onorio contennero l'ardor dei Veneziani e del Re ungarese; nè altro che una morte145 o naturale, o violenta la prigionia del misero Courtenai terminò146.
A. D. 1221-1228
La lunga incertezza in cui si rimase sulla sorte di Pietro, la presenza della legittima sovrana Jolande, o moglie, o vedova del medesimo, fecero che l'elezione di un nuovo Imperatore si differisse. La morte di questa principessa vissuta in mezzo ai cordogli, accadde in tempo che già sgravata erasi d'un fanciullo, cui fu imposto il nome di Baldovino, ultimo e più sfortunato dei principi latini di Costantinopoli. Comunque la sua stessa nascita fosse un motivo, per essergli affezionati ai Baroni della Romania, la fanciullezza del medesimo avrebbe lungo tempo esposto l'impero agli inconvenienti di una minorità, per lo che i diritti de' fratelli di Baldovino prevalsero. Il primogenito, Filippo di Courtenai, erede di Namur dal lato di madre, ebbe l'accorgimento di preferire la realtà del suo marchesato ad un'ombra di impero; pel quale rifiuto, Roberto, secondogenito di Pietro e di Jolande, al trono di Costantinopoli fu chiamato. Fatto circospetto dalla paterna sventura, per traverso all'Alemagna e lungo le rive del Danubio, seguì lentamente il suo cammino, e agevolatogli il passaggio per l'Ungheria dai motivi di parentado con quel Re, marito di sua sorella, pervenne finalmente alla meta, coronato dal Patriarca nella cattedrale di S. Sofia. Ma non provò durante l'intero suo regno che umiliazioni e disastri; e la colonia della Nuova Francia, così allora chiamata, cedea da tutte le bande ai collegati sforzi de' Greci di Nicea, e dell'Epiro. Dopo una vittoria più alla sua perfidia che al valore dovuta, Teodoro l'Angelo entrato nel regno di Tessalonica, e scacciatone il debole Demetrio, figlio del Marchese Bonifazio, fe' sventolare sulle mure di Andrinopoli il suo stendardo, aggiugnendo superbamente il proprio nome al novero di tre o quattro imperatori suoi emuli. Giovanni Vatace, genero e successore di Teodoro Lascaris, occupando il rimanente della provincia asiatica, splendè, durante un regno di trentatre anni, per tutte quelle virtù che ad un legislatore e ad un conquistatore si aspettano. Ei seppe, ottimo capitano, fare strumento di sue vittorie il valore di parecchi Franchi mercenarj, la cui diffalta, al lor paese funesta, divenne annunzio e cagione della superiorità risorgente de' Greci. Vatace costrusse una flotta, impose leggi all'Ellesponto, le isole di Lesbo e di Rodi ridusse, i Veneziani di Candia assalì, ai lenti e deboli soccorsi che ai Latini pervenivano dall'Occidente tolse la via. Indarno l'Imperatore latino fe' prova di opporre a Vatace un esercito, la cui sconfitta lasciò morti sul campo di battaglia quanti cavalieri e antichi conquistatori tuttavia rimanevano. Ma men trafiggeano l'animo dell'inetto Roberto i buoni successi del nemico che l'insolenza de' suoi sudditi latini, i quali della debolezza dell'Imperatore e dell'impero abusavano parimente. Le domestiche sciagure di questo principe dimostrano ad un tempo la ferocia del secolo e l'anarchia che quel governo premea. Sedotto Roberto dall'avvenenza di una nobile giovane della provincia di Artois, e dimentico degli accordi che la mano di lui alla figlia di Vatace obbligavano, introdusse nel palagio l'arbitra del suo cuore, inducendo la madre della donzella, abbagliata dallo splender della porpora, ad acconsentire, comunque ad un gentiluomo della Borgogna fosse promessa in isposa. L'amore del tradito pretendente in furor convertendosi, adunò i proprj amici, e rotte le porte della reggia, precipitò nell'Oceano la madre di colei che era divenuta o moglie, o concubina dell'Imperatore, e a questa barbaramente il naso e le labbra tagliò. I Baroni, anzichè voler punire il colpevole, fecero plauso ad un'azione feroce, che Roberto non potea perdonare nè come principe, nè come uomo147. Sottrattosi alla sua colpevole capitale, corse ad implorare la giustizia, o la compassione della Romana Sede Apostolica: ma il Papa lo esortò freddamente a ritornarsene nel suo regno; e nè manco gli fu lecito arrendersi a tal consiglio, perchè alla gravezza del dolore, della vergogna e della rabbia d'un impotente risentimento, i suoi giorni cedettero148.
A. D. 1228-1237
Il secolo della cavalleria è il solo tempo che abbia aperte al valore di semplici privati le vie de' troni di Gerusalemme e di Costantinopoli. La sovranità titolare di Gerusalemme apparteneva СКАЧАТЬ
144
145
Acropolita (cap. 14) afferma che Pietro Courtenai morì di ferro (εργον μαχαιραε γενεσθαι) stravagante frase che corrisponde all'italiana,
146
147
Marino Sanuto (
148