Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1. Edward Gibbon
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СКАЧАТЬ ritorno in Londra, ei non ricercò che nello studio i suoi piaceri. Tre anni dopo il suo ritorno in Inghilterra, pubblicò in francese il Saggio sullo studio della Letteratura, opera lodevolmente scritta, e piena di eccellente critica: poco letta in Inghilterra, essa piacque in Francia moltissimo11.

      Deliberato di dedicar la sua penna all'istoria, Gibbon ondeggiava fra diverse epoche, tutte egualmente importanti, quando un viaggio da lui fatto in Italia lo trasse in un subito dalla sua irresoluzione. «Egli è a Roma», esso dice, «che ragionando co' miei pensieri, seduto sulle rovine del Campidoglio, mentre i frati cantavano vespro nel tempio di Giove, l'idea di delineare il declino e l'occaso di questa città venne per la prima volta ad occupar la mia mente»12.

      Critico giudizioso e profondo, Gibbon passa a rassegna tutti i fatti, e supera tutti gl'inciampi. L'Istoria della decadenza e rovina dell'Impero di Roma valse a Gibbon gli elogj di Hume13 e di Robertson, e gli assegnò non l'ultimo posto nel triumvirato degli storici inglesi.

      Vent'anni di assiduo lavoro costò questa famosa Istoria al suo autore. Con affettuose tinte egli descrive il momento in cui l'ebbe finita.

      «Fu il dì, o per meglio spiegarmi, la notte del 27 Giugno 1789, che nel mio giardino, nella mia villa d'estate, io scrissi le ultime linee dell'ultima pagina. Poscia ch'ebbi giù posta la penna, feci alcuni giri sotto un pergolato di acacie, d'onde lo sguardo si estende in lontano, e domina la campagna, il lago ed i monti. Temperato era l'aere ed il cielo sereno; l'argenteo globo della luna si rifletteva nell'onde, e tutta la natura posava in silenzio. Non occulterò i miei primi sensi di gioia, in quell'istante della mia libertà ricovrata, e forse della mia fama sodamente stabilita. Ma ben tosto fu umiliato il mio orgoglio, ed una pensosa malinconia mi si pose nell'animo, al riflettere che avea preso eterno commiato da un antico e grazioso compagno di viaggio, e che qualunque essere potesse il futuro durare della mia istoria, la precaria vita dello istorico più non poteva esser lunga.»

      Da molte e gagliarde critiche venne però assalita quell'Opera che con tanti studj egli avea tratta a compimento.

      «Gibbon,» dice la Biblioteca istorica di Muselio, dotto e laborioso Tedesco «ha trovato nemici in patria e fuori di essa, perchè espose la propagazione della fede cristiana, non come suol fare il volgo, o come è usanza de' teologi, ma bensì come si conviene allo storico ed al filosofo14

      Gibbon fu due volte deputato al Parlamento. Nel 1779 egli ottenne da' ministri il posto di Lord commessario del commercio e dell'agricoltura, che perdè col cadere della famosa amministrazione di Bute. Egli applaudì da principio la rivoluzione francese; ma i delitti commessi in nome della libertà, o piuttosto i sentimenti di timore cui mal sapeva resistere, voltarono il suo animo, e desiderar gli fecero i trionfi della confederazione15. Egli viveva da dieci anni in Losanna, dimora ove ogni cosa gli tornava al pensiero le più grate memorie della sua gioventù, quando gli giunse a notizia che Lord Sheffield, suo dolcissimo amico, avea perduto una moglie diletta. Gibbon vola in Inghilterra per consolarlo, e sei mesi dopo scende nella tomba egli pure (16 gennajo 1794). Odoardo Gibbon ha lasciato le Memorie della sua Vita scritte da esso.

      PREFAZIONE DELL'AUTORE

      Non è mio intendimento di trattenere il lettore con estendermi sulla varietà, o sulla importanza del soggetto, che ho preso a trattare; il merito della scelta non servirebbe che a rendere più manifesta e meno scusabile la debolezza dell'esecuzione. Ma nondimeno, parendomi necessario di far conoscere al Pubblico l'Opera che gli presento, credo conveniente l'esporre con brevità la natura e i confini del mio disegno generale.

      La memorabile serie di rivoluzioni, che nel corso di quasi tredici secoli indebolirono a poco a poco, e finalmente distrussero il saldo edifizio dell'umana grandezza, può giustamente dividersi nei tre seguenti periodi.

      I. Il primo di questi, principiando dal secolo di Traiano e degli Antonini, quando la Monarchia Romana, già arrivata al sommo della forza e della maturità, cominciò a pendere verso la sua rovina, si estende fino alla distruzione dell'Impero d'Occidente per opera dei Barbari della Germania e dalla Scizia, rozzi antenati delle più civili nazioni dell'Europa moderna. Questa straordinaria rivoluzione che soggettò Roma al dominio di un Gotico conquistatore, si compì verso il principio del sesto secolo.

      II. Il secondo periodo della decadenza e rovina di Roma può dirsi cominciare dal Regno di Giustiniano, le leggi e le vittorie del quale rendettero all'Impero d'Oriente uno splendor passeggiero: questo periodo comprende l'invasione dei Longobardi nell'Italia; la conquista delle province Asiatiche e Affricane fatta dagli Arabi, i quali avevano abbracciato la religione di Maometto; la ribellione del Popolo romano contro i deboli Principi di Costantinopoli; e l'elevazione di Carlo Magno, che nell'anno 800 stabilì il secondo Impero d'Occidente, o sia l'Impero Germanico.

      III. L'ultimo ed il più lungo di questi periodi è composto quasi di sette secoli e mezzo, dal risorgimento dell'Impero Occidentale fino alla presa di Costantinopoli fatta dai Turchi, ed all'estinzione di una degenerata stirpe di Principi, i quali continuarono ad assumere i titoli di Cesare e di Augusto, anche di poi che i loro dominj furono ristretti dentro i limiti di una sola città, nella quale non restava da gran tempo vestigio alcuno della lingua e dei costumi degli antichi Romani. Dovendo riferire gli avvenimenti di questo periodo, non si può a meno di non internarsi nella Storia generale delle Crociate, in quanto esse contribuirono alla rovina dell'Impero greco. Le molte ricerche che ho dovuto fare sullo stato di Roma, durante l'oscurità e la confusione dei secoli di mezzo, mi fecero differire più che non l'avrei creduto il compimento del mio lavoro, che da principio non erami sembrato tanto lungo come lo sperimentai in appresso.

      Ch'io abbia eseguito il vasto disegno immaginato, non ardisco lusingarmene: n'ebbi però l'intenzione, ed il Pubblico imparziale potrà giudicarne leggendo la mia Opera.

      AVVERTIMENTO RELATIVO ALLE NOTE

      La diligenza e l'esattezza sono i soli meriti che uno Storico possa dire suoi propri, se pur vi è qualche merito reale nell'esecuzione di un indispensabile dovere. Posso pertanto dir con ragione, che ho diligentemente esaminati tutti i documenti originali, che potevano illustrare il soggetto da me preso a trattare. Per dare un'idea al Leggitore del metodo da me tenuto nel lavoro delle annotazioni, mi ristringerò ad una sola osservazione.

      I Biografi che a' tempi di Diocleziano e di Costantino composero o piuttosto compilarono le vite degli Imperatori, da Adriano fino ai figli di Caro, vengono ordinariamente citati sotto i nomi di Elio Sparziano, Giulio Capitolino, Elio Lampridio, Vulcazio Gallicano, Trebellio Pollione, e Flavio Vopisco. Ma vi è tanta confusione nei titoli dei MSS., e tante dispute sono insorte tra i critici (vedi Fabricio Biblioth. Lat. l. III, c. 6) intorno al numero, ai nomi ed alle opere loro, che io gli ho citati perloppiù senza distinzione alcuna, sotto il generico e ben noto titolo della Storia Augusta.

      CAPITOLO I

      Estensione e forza militare dell'Impero nel secolo degli Antonini.

      Dal 98

      al 180

      Nel secondo secolo dell'Era cristiana, l'Impero di Roma comprendeva la parte più bella della Terra, e la porzione più civile del genere umano. Il valore, la disciplina, e l'antica rinomanza difendevano le frontiere di quella vasta monarchia. La gentile, ma potente influenza delle leggi e dei costumi aveva a poco a poco assodata l'unione delle province, i cui pacifici abitatori godevano ed abusavano dei vantaggi che nascono dalle ricchezze e dal lusso. Si conservava ancora, con decente rispetto, l'immagine di una libera costituzione; e l'autorità sovrana apparentemente СКАЧАТЬ



<p>11</p>

Tout considéré, je puis appliquer au premier fruit de ma plume, les paroles d'un artiste bien supérieur, passant en revue les premières productions de son pinceau. Après avoir examiné quelques portraits qu'il avait peint dans sa jeunesse, mon ami, Sir Josué Raynolds, convint avec moi, qu'il était plus humilié que flatté de la comparaison avec ses ouvrages actuels; et qu'après tant de tems et d'application, il s'était imaginé que ses progrès étaient beaucoup au-dessus de ce qu'il reconnaissait qu'ils etaient en effet. Ivi.

<p>12</p>

C'est à Rome, un 15 octobre 1764, que rêvant, assis au milieu des ruines du capitôle, pendant que nus-pieds les moines chantaient vêpres dans le temple de Jupiter, l'idée de tracer le déclin, et la chûte de cette ville, vint pour la première fois se saisir de mon esprit. Mais mon plan était borné d'abord à la decadence de la capitale plutôt qu'à celle de l'Empire; et quoique mes lectures et mes réflexions commençassent à se diriger vers cet objet, quelques années s'ecoulèrent, et bien des diversions survinrent, avant de m'engager sérieusement dans l'exécution de ce laborieux ouvrage.

<p>13</p>

Edimbourg, le 18 mars 1776.

Mon cher Monsieur, pendant que je suis encore à dévorer avec autant d'avidité que d'impatience votre volume historique, je ne puis résister au besoin de laisser percer quelque chose de cette impatience, en vous remerciant de votre agréable présent, et vous exprimant la satisfaction que votre ouvrage m'a fait éprouver. Soit que je considère la dignité de votre style, la profondeur de votre sujet, on l'étendue de votre savoir, votre livre me parait également digne d'estime; et j'avoue que si je n'avais pas déjà joui du bonheur de votre connaissance personelle, un tel ouvrage dans notre siècle, de la part d'un Anglais, m'aurait donné quelque surprise. Vous pouvez en rire; mais comme il me parait que vos compatriotes se sont livrés à-peu-près pour une génération entière, à une faction barbare et absurde, et ont totalement négligé tous les beaux arts, je ne m'attendais plus de leur part à aucune production estimable. Je suis sûr que vous aurez du plaisir comme j'en ai moi même à apprendre que tous les hommes de lettres de cette ville, se reunissent à admirer votre ouvrage et à désirer sa continuation avec sollicitude.

Quand j'entendis parler de votre entreprise, il y a déjà quelque tems, j'avoue que je fus un peu curieux de voir comment vous vous tireriez du sujet de vos deux derniers chapitres (XV e XVI). Je trouve que vous avez observé un tempérament très prudent, mais il était impossible de traiter ce sujet de manière à ne pas donner prise à des soupçons contre vous, et vous devez vous attendre que des clameurs s'élèveront. Si quelque chose peut retarder votre succès auprès du public, c'est cela; car à tout autre égard, votre ouvrage est fait pour réussir généralement. Mais parmi beaucoup d'autres signes de décadence, la superstition, qui prevaut en Angleterre, annonce la chûte de la philosophie et la perte du goût, et quoique personne ne soit plus capable de les faire revivre que vous, vous aurez probablement à votre début des combats à livrer.

Je vois, ecc. ecc.

David Hume.

Ivi.

<p>14</p>

Gibbonus adversarios cum in, tum extra patriam nactus est, quia propagationem religionis christianae, non, ut vulgo fieri solet, aut more theologorum, sed ut historicum et philosophum decet, exposuerat.

<p>15</p>

L'ouvrage de Burke est le remède le plus admirable contre la contagion française qui a fait trop de progrès, même dans cet heureux pays. J'admire son éloquence, j'approuve sa politique, j'adore sa chevalerie, et il n'y a pas jusqu'à sa superstition que je lui passe. L'église primitive, que j'ai traitée avec un peu de liberté, fût elle-même à sa naissance une innovation, et je tenais à la vieille machine du paganisme.

Lettere di Gibbon,

Traduzione francese.