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scritture contemporanee, e ha uno spiccato carattere aneddotico che ne rende piacevole la lettura né poco conferisce all'intelligenza dei tempi e degli uomini.
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Barone von Helfert, La caduta della dominazione francese nell'Alta Italia e la congiura militare bresciano-milanese nel 1814, traduzione consentita dall'autore di L. G. Cusani Confalonieri, con un'appendice di documenti, Bologna, N. Zanichelli, 1894; 16º, pag. 282. È importante specialmente perché l'autore attinse notizie da documenti riservati degli archivi di Vienna, ma, come altri libri dell'Helfert su cose italiane, tende a giustificare la politica austriaca, e però trascura fatti, censura persone, pronuncia giudizi dimostrando molta parzialità. La pubblicazione dell'originale tedesco è del 1880.
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Il testo francese fu pubblicato in Parigi, Laisné, 1846, e la traduzione italiana, ivi 1847. È un libro ormai rarissimo, perché le copie venute in Italia furono quasi tutte confiscate dalla polizia austriaca, e però ci proponiamo di ristamparlo quando che sia in questa nostra Biblioteca storica del Risorgimento italiano. Intanto sovr'esso si vedano Cusani, St. di Milano, VII 84, De Castro, op. cit., p. 10, Helfert, op. cit., pag. 24.
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Il titolo del libretto, stampato in carta grossolana e della dimensione di cm. 21×12, è riprodotto a fac-simile nella p. 1 del presente volume. La data di Parigi è probabilmente fittizia, poiché la carta, i caratteri ed altre particolarità materiali del libro lo mostrerebbero uscito dalla stamperia del Veladini di Lugano (cfr. De Castro, op. cit., p. 39; Catalogo del Museo del Risorgimento nazionale di Milano, II, 236): tuttavia a provenienza parigina sembra accennare l'autore stesso nella sua lettera al Cassi, che sarà riferita or ora.
6
Parma, stamperia Carmignani, 1814, 16º, p. 12.
7
Fabi, op. cit., p. 223.
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A questa Lettera di stampa parmense accenna il Foscolo, Opere V, 221: «… benché vi fosse da ridire, tuttavia si è lasciato correre, perché era dettato a difesa con modestia d'uomo dabbene: tace il vero, che forse era occulto a quello scrittore; non però dice il falso». Non crederei di errare sospettando autore di questa relazione uno dei senatori Vincenzo Dandolo o Federico Cavriani, i soli, tra quelli che vi son nominati, cui possano applicarsi e la qualifica d'uomo dabbene, secondo il giudizio del Foscolo, e le lodi raccolte dal Fabi: per il Cavriani starebbe anche il fatto che a lui fu erroneamente attribuita la Memoria storica dell'Armaroli (cfr. G. Melzi Dizion. di opere anon. e pseudon., vol II, p. 470).
Alludo specialmente al libello, tribuito a Stefano Méjan, Le Roi Pino à la bataille des parapluies, stampato in Germania nel maggio 1814, e all'altro intitolato: Le Lamentazioni, ossieno le quattro Notti del general Pino. Italia 1815 (forse stampato a Milano): il Pino rispose con gli Schiarimenti sopra alcuni articoli esistenti nel libello intitolato, «Le quattro Notti del generale Pino,» anche questi del 1815.
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È un opuscolo in 8º, di p. 16. – Da vedere in proposito ciò che scrisse, a cose quiete, A. Zanoli, Sulla milizia cisalpino-italiana cenni storico-statistici dal 1796 al 1814, Milano, Borroni e Scotti 1845, vol. II, pp. 441-445.
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La Lett. ad un amico, senza note tipogr., è un opuscolo di p. 23, oggimai introvabile: una copia è nell'Ambrosiana (De Castro, p. 36), un'altra nel Museo milanese del Risorgimento (Catalogo I, 316): ma è stata ristampata in Memorie e lettere di F. Confalonieri, a cura di G. Casati, Milano, Hoepli, 1890, p. 253-273.
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L'opuscolo del Giovio è rarissimo: una copia ne conserva l'Ambrosiana in una miscellanea S. C. v. v. 26, che è tutta di cose manoscritte e stampate sui fatti del 20 aprile 1814 (De Castro, pp. 36, 82).
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Il nome del Gioia è dato da un esemplare della Memoria storica, posseduto dalla R. Biblioteca Vittorio Emanuele (22, 14, B, 11) con queste parole manoscritte: Vuolsi del senatore Conte Guicciardi, ma piú si attribuisce al Gioia.
15
Foscolo, Opere, vol. V, p. 171-253; specialmente si noti ciò che leggesi a p. 175, 178, 183, 211-213, 222.
16
Op., vol. V, p. 489-609; specialmente, p. 495, 568.
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Relation historique de la Révolution du royaume d'Italie en 1814; par le comte Guicciardi, ex-chancelier du Sénat; traduit de l'italien par M. Saint-Edme. A Paris, chez A. Corréard, libraire, Palais-royal, Galerie de bois, n. 258, 1822; in-8º, di p. VI-204.
18
R. Bonfadini, Mezzo secolo di patriotismo, Milano, Treves, 1886, p. 84-91, dove il ritratto politico del Guicciardi è delineato con mano maestra, sebbene un po' indulgente. Non inutile mi sembra l'aggiungere che il Guicciardi fu di una famiglia nobile di Tresivio, ma nacque accidentalmente in Lugano il 26 febbraio 1756: fatti gli studi di legge, si volse ai pubblici uffici, e fu dapprima luogotenente del Vicario in Sondrio, poi delegato presso il Pretore in Morbegno, e non ancora trentenne fu chiamato nel 1785 alla piú eminente carica amministrativa che fosse nella Valtellina, quella di cancelliere di Valle. Nel 1787 fu uno dei deputati che trattarono innanzi alla Corte di Vienna la questione dei diritti valtellinesi contro i Grigioni, e fin d'allora cercò di collegare le sorti e gli interessi della Valtellina con quelli della Lombardia; e questo fine il Guicciardi raggiunse dieci anni di poi alla prima venuta dei francesi, poiché egli fu principal promotore dell'unione della Valtellina alla Cisalpina accaduta nel novembre 1797. L'amicizia allora contratta con Antonio Aldini, andato commissario organizzatore in Valtellina, gli aprí la via degli uffici politici nella novella Repubblica: fu chiamato da Bonaparte il 20 novembre 1797 nei Comitati riuniti e assegnato a quello di costituzione, e contemporaneamente fu fatto rappresentante del popolo al Corpo legislativo nel Consiglio dei seniori, ma chiese e ottenne la dimissione il 26 dicembre; nel febbraio 1798 fu Commissario straordinario del governo nei dipartimenti del Lamone e del Rubicone; il 15 aprile fu nominato ministro di polizia generale, il 10 luglio ministro dell'interno, nel quale ufficio rimase fino a tutto il gennaio 1799. Nella seconda Cisalpina il Guicciardi si tenne in disparte, finché mandato all'assemblea di Lione, come uno dei notabili del dipartimento del Lario, vi si segnalò per moderazione e dirittura d'idee, di modo che Bonaparte il 26 gennaio 1802 lo chiamò all'alto ufficio di segretario di Stato della Repubblica italiana. Vive antipatie sorsero tra il Melzi, vicepresidente di quella, e il Guicciardi, sí che questi lasciò l'ufficio passando il 31 maggio a far parte della Consulta di Stato, la quale alla formazione del Regno italico costituí poi la prima sezione del Consiglio di Stato. Nominato direttore generale della polizia il 1º agosto 1805, esercitò il difficile ufficio con tatto e moderazione, finché Napoleone I, per motivi non ancora chiariti, sospettò della sua condotta e lo tolse di mezzo nominandolo senatore il 19 febbraio 1809. Da questo momento fino al 1814 fu cancelliere del Senato ed ebbe gran parte nelle deliberazioni di quel corpo, mentre poi veniva insignito via via delle piú alte onorificenze napoleoniche. Nel 1814 fu a Vienna a procacciare il mantenimento dell'unione della Valtellina alla Lombardia, e riuscí gradito all'Austria sí da esser fatto nel 1818 vicepresidente dell'I. R. governo della Lombardia, nel 1825 I. R. consigliere intimo attuale e presidente della Commissione centrale di pubblica beneficenza. Collocato a riposo nel 1826, morí nel 1837.
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Non si ha alcuna biografia dell'Armaroli, del quale ho potuto raccogliere che nacque in Macerata il 4 gennaio 1766 di famiglia patrizia, fece buoni studi di lettere in patria e fu laureato in giurisprudenza: entrato nella magistratura pontificia, era presidente del tribunale di Macerata allorché poco dopo l'unione delle Marche al Regno italico, fu con decreto del 5 luglio 1808 nominato presidente della Corte di giustizia in Fermo. Chiamato a far parte del Collegio elettorale dei dotti, fu designato come candidato al Senato, e nominato senatore il 19 febbraio 1809. Si trasferí quindi a Milano, donde solamente nel 1815 tornò, con una modesta pensione, in patria, dove si diede con fortuna
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