Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI. Botta Carlo
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Название: Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI

Автор: Botta Carlo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ arrivava Napoleone trionfante nella reale ed accetta Milano. Le feste furono molte; i soldati armeggiavano, i poeti cantavano, i magistrati lusingavano, i preti benedicevano. Trattò Melzi molto rimessamente, perchè non ne aveva più bisogno; perchè poi fosse meglio rintanato, il creò duca di Lodi. Dolsimi in queste storie di molte funeste cose, e di molte ancora dorrommi, ma di niuna più mi doglio o dorrommi, che dello aver veduto contaminato dai soffi Napoleonici un Melzi.

      Ed ecco che Napoleone arriva a Venezia. Luminaria per tutta la città; di notte il canal grande chiaro come di giorno; la piazza di San Marco più chiara del canale; regata, balli, teatri, e quel che è peggio, plausi di voci e di mani. Si mostrò lieto, e contento in volto. Ciò non ostante aveva paura di essere ucciso; Duroc, gran maestro del palazzo, fu più diligente del solito nel visitar cantine e cisterne. Alcuni Veneziani si aggirarono intorno al signore con fronte lieta e serena. L'età portò, che brutto e splendido servire più piacesse, che vita onorata ed oscura.

      Tornato a Milano udiva i collegi, ed ai collegi parlava. Accusò gli antenati, parlò di patria degenere dall'antica; affermò molto aver fatto per gl'Italiani, molto più voler fare; ammonigli, stessero congiunti con Francia; ricordò loro, che da quella ferrea corona si promettessero l'independenza. Corsa trionfalmente la Lombardìa, nuovi Italici pensieri gli venivano in mente, e gli mandava ad esecuzione: sotto il suo dominio da ruina nasceva ruina. Aveva, a cagione che il principe reggente di Portogallo si era ritirato dal voler fare contro gl'Inglesi tutto quello ch'egli avrebbe voluto, per un trattato sottoscritto a Fontainebleau con un ministro di Spagna, tolto il Portogallo a' suoi antichi signori, che vi erano ancora presenti, e dato in potestà di nuovi. Per esso si accordarono la Francia e la Spagna, che la provincia del Portogallo tra Mino e Duero, colla città di Porto, cedessero in proprietà e sovranità del re d'Etruria, ed egli assumesse il nome di re della Lusitania settentrionale; che l'Algarve si desse al principe della Pace con titolo di principe dell'Algarve, che il Beira ed il Tramonti, e l'Estremadura di Portogallo si serbassero sequestrate sino alla pace; che il re d'Etruria cedesse il suo reame all'imperator dei Francesi; che un esercito Napoleonico entrasse in Ispagna, e congiuntosi con lo Spagnuolo occupasse il Portogallo. Covava fraude contro Portogallo, fraude contro Spagna per l'introduzione dei Napoleoniani. I Braganzesi, avuto notizia del fatto, e non aspettata la tempesta, s'imbarcarono pel Brasile sopra navi proprie ed Inglesi. Napoleone levò un gran romore della partenza, ed imputò loro a delitto l'essere fuggiti, come diceva, con Inglesi, come se in servitù di lui fossero stati obbligati a restare.

      Il dì ventidue novembre i ministri di Spagna e di Francia, nelle stanze di Maria Luisa, regina reggente di Toscana, entrando, le intimarono, essere finito e ceduto a Napoleone il suo Toscano regno, e che in compenso le erano assegnati altri stati da godersegli col suo figliuolo Carlo Lodovico. Fu a questa volta taciuta la parola perpetuamente; il che se indicasse sincerità o dimenticanza, io non lo so. Restava, che ad un comandamento fantastico succedesse una umiltà singolare. Significava la regina a' suoi popoli, essere la Toscana ceduta all'imperator Napoleone; ad altri regni andarsene: ricorderebbesi con diletto del Toscano amore, rammaricherebbesi della separazione, consolerebbesi pensando, passare una nazione sì docile sotto il fausto dominio di un monarca dotato di tutte le più eroiche virtù, fra le quali, per servirmi delle stesse parole che usò la regina, dette così com'erano alla segretariesca, fra le quali campeggiava singolarmente la premura la più costante di promuovere ed assicurare la prosperità dei popoli ad esso soggetti. Non seguitò la regina reggente in Toscana le vestigia Leopoldiane, anzi era andata riducendo lo stato a governo più stretto, e più compiacente a Roma. Arrivò il generale Reille a pigliar possesso in nome dell'imperatore e re; i magistrati giurarono obbedienza; cassaronsi gli stemmi di Toscana, rizzaronsi i Napoleonici: arrivava Menou Egiziaco a scuotere le Toscane genti; Napoleone trionfatore, tornando a Parigi, tirava dietro le sue carrozze quelle di Maria Luisa, e di Carlo Ludovico.

      L'asprezza di Napoleone, e la natura rotta e precipitosa di Menou mitigava in Toscana una giunta creata dal nuovo sovrano, e composta di uomini giusti e buoni, fra i quali era Degerando, che solito sempre a sperare, a supporre, ed a voler bene, credeva che l'imperatore fosse fatto a sua similitudine. Avevano il difficile carico di ridurre la Toscana a forma Francese. Erano in questa bisogna alcune cose inflessibili, alcune pieghevoli. Si noveravano fra le prime gli ordini giudiziali, amministrativi e soldateschi: furono introdotti nella nuova provincia senza modificazione: degli ultimi non potevano i Toscani darsi pace, parendo loro cosa enorme, che dovessero andar alle guerre dell'estrema Europa per gl'interessi di Francia, o piuttosto del suo signore. S'adoperava la giunta, non senza frutto, a far che la nuova signorìa meno grave riuscisse. Primieramente la tassa fondiaria, opinando in ciò molto moderatamente Degerando, fu ordinata per modo che non gettasse più del quinto, nè meno del sesto della rendita. Non trascurava la giunta le commerciali faccende. Pel cielo propizio volle tirarvi la coltivazione del cotone, e per migliorar le lane diede favore al far venir pecore di vello fino nelle parti montuose della provincia Sanese. Delle berrette di Prato, dei capelli di paglia, degli alabastri, e dei coralli di Firenze e di Livorno, parti essenziali del Toscano commercio, con iscuole apposite, con carezze, e con premj particolar cura aveva. Domandò a Napoleone, che permettesse le tratte delle sete per Livorno, provvedimento utilissimo, anzi indispensabile per tener in fiore le manifatture dei drappi, e la coltivazione dei gelsi nella nuova provincia. Richiese anche dal signore, che concedesse una camera di commercio a Livorno, a guisa di quella di Marsiglia, acciocchè i Livornesi potessero regolare da se, e non per mezzo dei Marsigliesi, le proprie faccende commerciali: non solo buona, ma sincera e disinteressata supplica fu questa della giunta, perchè dava contro Marsiglia. Per queste deliberazioni si mirava a conservar salvo il commercio del Levante con Livorno.

      I commodi di terra pressavano nei consigli della giunta, come quei di mare. Supplicava all'imperatore, aprisse una strada da Arezzo a Rimini, brevissima fra tutte dal Mediterraneo all'Adriatico; ristorasse quella di Firenze a Roma per l'antica via Appia, dirizzasse quella da Firenze a Bologna pel Bisenzio e pel Reno, terminasse finalmente quella, che insistendo sull'antica via Laontana, da Siena porta a Cortona, Arezzo e Perugia. Nè gli studj si omettevano; consiglio degno del dotto e dabben Degerando. Ebbero quei di Pisa e di Firenze con tutti i sussidj loro ogni debito favore: ebberlo le accademie del Cimento, della Crusca, del Disegno, dei Georgofili: feconda terra coltivava Degerando, e la feconda terra ancora a lui degnamente rispondeva, dolci compensi di un amaro signore.

      Arrivava gennajo intanto: cessava la giunta l'ufficio, dato da Napoleone il governo di Toscana ad Elisa principessa, gran duchessa nominandola. La quale Elisa o per natura, o per vezzo, simile piuttosto al fratello, che a donna, si dilettava di soldati, gli studj e la Toscana fama assai freddamente risguardando. A questo modo finì la Toscana patria, passata prima da repubblica nei Medici per usurpazione, poi dai Medici negli Austriaci per forza dei potentati, ai quali piacque quella preda per accomodar se medesimi, dileguatasi finalmente e perdutasi del tutto nell'immensa Francia.

      Similmente, ed al tempo stesso Napoleone univa all'impero il ducato di Parma e Piacenza, dipartimento del Taro chiamandolo. Restavano ai Borboni di Parma le speranze del Mino e del Duero.

      Non so, se chi avrà fin qui letto queste nostre storie, avrà quanto basta, posto mente alle miserie d'Italia. Il Piemonte due volte repubblica, due volte regno, tre volte sotto governi temporanei, calpestato dagli agenti repubblicani sotto il re e sotto il primo governo temporaneo, straziato dagli agenti imperiali, Russi ed Austriaci sotto il secondo, conculcato dagli agenti consolari sotto il terzo: sorti sempre incerte, predominio di opinioni diverse, interessi rovinati ora di questi, ora di quelli, affezioni tormentate: quando una radice di sanazione incominciava a spuntare in una ferita, violentemente era da maggior ferita svelta: la dolorosa vece più volte rinnovossi; squallido diventato un paese fioritissimo; aspettavasi la libertà; un dispotismo disordinato e sfrenato sopravvenne; molti anni durò, finalmente in dispotismo metodico cambiossi. Parevano più certe le sorti; pure ancora restavano nelle menti i vestigi dei passati mali, e le non riparate rovine attestavano le spesse e violenti mutazioni. Genova tre volte cambiata sotto forma di repubblica, spaventata continuamente dal romore delle presenti armi, conculcata dagl'Inglesi per mare, dai Francesi, dai Russi e dai Tedeschi per terra, ora in nome dei diritti dell'uomo, ed ora in nome del governo legittimo, desolata dall'assedio, desolata dalla СКАЧАТЬ