Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V. Botta Carlo
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Название: Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V

Автор: Botta Carlo

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ della rivoluzione si erano commesse in Francia. Pochi furono eccettuati dal clemente editto, piuttosto per lasciare un appicco a nuove grazie, che per altro fine. Rientravano gli esuli, non sotto i tetti proprj, non nei beni loro posti al fisco, ma a rivedere i monti, i fiumi, le valli, e l'aere natio; il che era pur parte di felicità. Gradivano infinitamente queste cose agli amatori del nome reale, e ne auguravano delle maggiori. Della contentezza loro godeva il consolo, volendo arrivare alla dominazione assoluta coll'appoggio dei regj, e dei repubblicani. In questi pensieri tanto più volontieri si confermava, quanto non dubitava, che sarebbero andati a grado delle potenze Europee, siccome quelle che vi vedevano l'intenzione data da lui nei campi di Leoben e di Campoformio, di voler rimettere i Borboni, desiderio primo e principale dei principi, massimamente dell'imperatore Paolo. Sperava, nella cupezza sua, che con questi mezzi acquisterebbe pace con Europa, e tanta potenza in Francia, che senza pericolo potesse finalmente scoprirsi dello aver preso il dominio per se, non per altri. Il reggimento statuito da lui in Francia, in cui parti principalissime erano il senato ed il corpo legislativo, non gli dava apprensione, perchè del senato lo assicuravano le ricchezze, del corpo legislativo le ambizioni. L'avere poi ridotto le amministrazioni delle province ad uno invece di molti fece gli ordini meglio eseguiti, l'erario pingue: ogni cosa si volgeva alla monarchìa. Correndo i soldi, i magistrati obbedivano, i soldati marciavano: tutti benedicevano il consolo. Credere, che i principj astratti prevalgano alle borse piene, è cosa da pazzo.

      A tutti questi maneggi gran momento arrecavano gli scienziati ed i letterati, siccome quelli che avevano molta autorità sui popoli, massimamente in Francia, dove erano uniti in certa spezie di congregazione, non per legge, ma per uso. Per la qual cosa il consolo gli accarezzava, gli arricchiva, gl'ingrandiva. Adulava l'instituto, e l'instituto lui. In questo non tutti andavano allo stesso modo. Alcuni s'accostavano a lui per gli allettamenti, altri per fin di bene, credendo, o che egli andasse per se, o che il potessero tirare colle persuasioni a volere la libertà. Piacemi fra questi nominare Cabanis, nel quale se fosse maggiore o il ben pensare, o il ben dire, o il bene scrivere, o il ben fare, io distinguere non saprei: certo tutte queste qualità erano in lui molto eminenti. Questo edifizio degli scienziati e dei letterati molto il puntellava, parendo a tutti, che a chi piacevano gli uomini civili, dovesse anche piacere la civiltà, e con lei la libertà, la quale sarebbe il compimento, e quasi il fiore della civiltà, se gli avari e gli ambiziosi non la guastassero.

      Grande flagello, da che aveva principiato la rivoluzione, era sempre stata la guerra della Vendea, nella quale con infinito furore combattendo e repubblicani e regj, avevano sterminato popolazioni intiere, desolato paesi altre volte fioritissimi, commesso quello che solo commettono nelle civili discordie, e forse neanco in queste gli uomini arrabbiati gli uni contro gli altri. La forza non l'aveva potuta spegnere, perchè irritava, le tregue nemmeno, perchè mal fide: ormai si nominava guerra interminabile. S'accorgeva il consolo, quanta grazia acquisterebbe fra i popoli, se pacificasse quelle terre rosse di tanto sangue Francese: applicovvi l'animo, venne a capo dell'impresa. Fra il terrore del suo nome, l'apparato de' suoi soldati, le promesse di osservar la fede, le speranze segretamente date di voler procedere più oltre, vennero i capi della Vendea ad una onesta composizione: la concordia tornava sulle rive dell'insanguinato Ligeri; Parigi maravigliato vedeva i capi della Vendeese guerra. Ammiravano i popoli il consolo pacificatore, uguale nel far le guerre, uguale nel far le paci.

      Forti amminicoli a quanto macchinava, pensava che fossero gli uomini di chiesa tanto maltrattati dal direttorio. Volle tirargli, e il fece agevolmente. Diè patria ai preti fuorusciti, libertà ai carcerati, sicuro vivere ai nascosti. Queste cose faceva apertamente, molte altre prometteva segretamente: i preti tutti, anche quelli che col crocifisso in mano avevano concitato le Vendeesi popolazioni contro i repubblicani, amavano e fomentavano la sua grandezza. S'aggiunse, che onorò con pietosi uffizj Pio sesto, papa morto, che aveva perseguitato vivo. Ordinava per lui solenni esequie in Valenza di Delfinato; il chiamava giusto, virtuoso, santo; affermava, avere per forza, e per mali consigli fatto guerra a Francia. Questo favellare maravigliosamente piaceva a coloro, che sentivano ancora di religione, massimamente ai ministri di lei. Già non solo vincitore e riformator generoso del governo, ma ancora instaurator pio dell'antica religione di Francia il chiamavano. Vacando il trono pontificale per la morte di Pio sesto, eransi a questo tempo adunati i cardinali in conclave a Venezia per intendere alla elezione del nuovo pontefice. Temeva il consolo, che si creasse, dovendo la elezione farsi in luogo suddito all'Austria, un pontefice troppo aderente a questa casa con pregiudizio degl'interessi di Francia e proprj. Perciò andava moltiplicando ne' suoi segni di affezione verso la religione, e nutriva con grandi speranze i ministri di lei. Si poteva facilmente pronosticare da questi primi favori, ch'ei voleva venirne, quanto alle faccende ecclesiastiche, ad ordini legittimi e definitivi. Ciò era cagione che i cardinali raccolti in Venezia non disperassero di Francia, e non consentissero ad innalzare al pontificato un cardinale, che si fosse dimostrato troppo contrario a lei. Si aggiungeva a favore di Francia e del consolo, che non senza grave sospetto stavano i cardinali intorno alle intenzioni dell'Austria rispetto al patrimonio della chiesa. Le dimostrazioni da lei fatte di aver voluto far correre a Roma Froelich, lo avere lui penato a ratificare la convenzione conclusa tra Garnier, gl'Inglesi ed i Napolitani, e molto più il desiderio, anzi la volontà evidentemente scoperta dall'Austria di serbarsi le legazioni, gli avevano messi in sentore. Perlocchè desideravano di assicurarsi dell'Austria per mezzo dell'amicizia di Francia. Questi umori erano astutamente fomentati dal consolo e gli dettero facilità di fermare le cose di Roma. Oramai si era accorto, che invece di combattere contro l'Europa e la santa sede, era arrivata la stagione, in cui egli poteva combattere, della santa sede servendosi, contro l'Europa; e siccome si era pruovato, che il gridare libertà senza religione aveva avuto cattivo fine, si risolveva a gridare libertà con religione insino a tanto che le radici della sua potenza essendo ferme, potesse spegnere la prima, e muovere a suo talento la seconda: tutto si volgeva a sua grandezza.

      Ma primo ed universale desiderio della Francia tanto rotta e sanguinosa, era la pace. Questa inclinazione assecondava il consolo, non che sperasse di ottenerla con tutti, ma l'offerirla a tutti gli pareva confacente a' suoi pensieri. Questo ad ogni momento inculcava, per questo essere venuto dall'Egitto, abborrire la guerra, abborrire i conquistatori, pregare Iddio, che gli concedesse tanto di vita, che potesse dar pace alla Francia, pace all'Europa afflitte; solo per questo desiderar di vivere, la guerriera gloria essergli venuta a tedio, solo piacergli la pacifica. Questi discorsi faceva con sì efficaci parole, e con fronte tanto pietosa, che tutto il mondo credeva che fossero sinceri.

      Pensava, che a' suoi fini molto valesse, e fosse molto ricercata dalle cose presenti, se non la pace, la offerta almeno della pace all'Inghilterra. Scriveva una molto bene elaborata lettera al re Giorgio: la guerra avere forse ad essere eterna? Non esservi forse alcun modo di finirla con qualche onesta composizione? Due nazioni grandi e potenti dovere forse porre in non cale la ricchezza dello stato, la felicità delle famiglie? Non sentir loro, non toccar con mano, la pace siccome è la cosa più desiderata di tutte, così ancora essere la più gloriosa? Sapere, che la Francia, e l'Inghilterra potevano per la potenza loro ancora molto tempo straziarsi, ma sapere ancora, che il destino di tutte le nazioni pendeva dal fine di una guerra, per cui tutto il mondo ardeva. Rispose acerbamente per bocca del ministro Grenville il re Giorgio, avere la Francia desolato la terra, avere i medesimi principj e le medesime cagioni a partorire i medesimi effetti; essersi servita dei trattati di pace, dei trattati d'alleanza a distruzione degli amici, e degli alleati suoi; non sapersi, se il governo nuovo prodotto da una rivoluzione nuova fosse per cangiar d'opere, ed offerisse maggiore sicurtà a chi trattasse con lui; non potersi fidare in proteste generali di desiderj pacifici; non vane parole, ma l'esperienza sola poter convincere altrui, che altro si voleva adesso, da quello che si era voluto prima; desiderare il re la pace, ma sicura per se, sicura pe' suoi alleati; solo, e fidato mezzo di sicura pace essere il rimettere in Francia quella stirpe di principi, che per tanti secoli l'avevano governata con prosperità dentro, con dignità fuori; nondimeno ciò accennare solamente il re alla Francia, non richiedernela; non volere, nè pretendere prescrivere forma di reggimento, o capi ad una nazione grande e potente; solo volere la sicurezza sua, solo volere la sicurezza de' suoi alleati; essere per venir volentieri ad un accordo, quando giudicasse di poter convenire con sicurezza, ma per ancora non conoscersi sufficientemente i principj del nuovo governo, non congettura probabile potersi СКАЧАТЬ