Название: Le stragi delle Filipine
Автор: Emilio Salgari
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
isbn:
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Sentiva vagamente che un pericolo misterioso lo circondava, ma senza sapere quale.
Attraversata la sala, il chinese lo introdusse in un nuovo corridoio che pareva scendesse ancora, poi lo fece passare sotto una strana vôlta formata da otto enormi clave sorrette da otto chinesi, da otto membri dell’associazione.
Subito due altri chinesi s’impadronirono di Romero, gli tolsero la casacca e la camicia gettandogli addosso un manto di seta bianca, ma che lasciavagli scoperta la spalla destra.
Perché la cerimonia dovesse essere completa, avrebbero dovuto sciogliergli la coda, come prescrivevano gli statuti sociali del Giglio d’acqua, del Lotus bianco e del Tien-Tai, ossia della Società del Cielo, della Terra e dell’uomo, come protesta del servaggio dei chinesi contro l’imposizione dei Mantsciuri conquistatori, ma essendo Romero un meticcio, questo particolare fu lasciato da parte avendo i capelli alla moda europea.
Ciò fatto, Hang-Tu introdusse l’amico in un’ampia sala dove si trovavano raccolti un centinaio e piú affiliati , parte chinesi, altri malesi, tagali e meticci, forse i capi piú influenti del partito insurrezionale di Manilla. Erano tutti armati di sciabole, o di catane o di parangs, le cui lame d’acciaio finissimo scintillavano vivamente, sotto la luce d’una mezza dozzina di grandi lanterne di talco.
Hang condusse il meticcio ad una estremità della sala dove sorgeva un piccolo padiglione detto dei Fiori Rossi, perché le tende che l’adornavano erano dipinte a peonie color del sangue, e preso un bacino di porcellana azzurra di Ming, ripieno d’acqua raccolta nel fiume chinese di Siam Ho, spruzzò replicatamente il neofita.
Tosto i cento uomini, che si trovavano colà radunati, si schierarono su due file, ed alzarono le armi formando come una vôlta d’acciaio.
Hang fece passare Romero sotto le lame fiammeggianti e minacciose, poi, giunto nel mezzo, lo fece inginocchiare su di un cuscino di seta cremisi, mentre otto spade si puntavano sulla spalla nuda del nuovo affiliato, facendo uscire alcune gocce di sangue.
– Sono morti i tuoi parenti? – gli chiese Hang, che funzionava da grande maestro.
– No, – rispose il meticcio, con sorpresa.
– Devi giurare che sono morti, – disse il chinese con voce solenne, – cosí vogliono i nostri statuti.
– Lo giuro.
– Ripetilo.
– Lo giuro.
Un lampo di gioia balenò negli occhi obliqui di Hang.
– Tu hai giurato, – gli disse, – questa formula significa che non puoi piú riconoscere alcun legame terrestre e che devi rinunciare a tutto per darti, corpo ed anima, alle nostre società che qui rappresentano l’indipendenza delle Filippine.
Il meticcio, udendo quelle parole, fece atto d’alzarsi, ma le punte delle otto spade l’obbligarono a rimanere in ginocchio. Aveva compreso che quella formula stava per costargli la perdita della fanciulla amata ed aveva pur compreso dove l’aveva tratto l’astuto chinese.
– Hang, – mormorò.
– Per l’indipendenza della patria, – rispose il chinese, che lo aveva ben capito.
Romero chiuse gli occhi e chinò il capo. La libertà della patria gli rubava l’affetto di Teresita.
Un affilato aveva intanto recato un vaso di porcellana color del cielo dopo la pioggia, contenente dell’avarak ed aveva mescolato alla forte bevanda alcune gocce di sangue raccolte sulla spalla del meticcio.
– Bevi, Romero Ruiz, – disse Hang, porgendogli la coppa.
Il neofita la vuotò senza pronunciare una parola. Ormai era in piena balía di quegli uomini; ormai aveva dato il cuore e l’anima all’associazione.
– Romero Ruiz – continuò il chinese rialzandolo, mentre le otto spade venivano ritirate. – Sei nostro ed hai giurato di difendere la libertà delle isole contro i nostri secolari oppressori.
– Sí, – rispose il meticcio, a voce bassa, – ma mi hai schiantata l’anima.
Hang-Tu finse di non udirlo e se lo fece sedere a fianco, su uno scanno coperto di seta rossa fiorata, poi, mentre i congiurati formavano dinanzi a loro un ampi semi-cerchio, disse:
– S’introducano i corrieri.
Un istante dopo due malesi, un chinese ed un meticcio entravano. Tutti quattro erano cenciosi, magrissimi e portavano in volto le tracce di lunghe sofferenze. Pareva che fossero giunti di recente dai campi degli insorti, poiché le loro vesti erano ancora imbrattate di fango.
Hang-Tu fece avvicinare il meticcio, chiedendogli:
– Da dove vieni?…
– Dalle rive dell’Imus, capo, – rispose il corriere.
– Che cosa fanno gli spagnuoli?
– Si sono accampati presso Dasmarinas e pare che puntino verso Salitran.
– Chi li comanda?…
– I generali Lachambre e Cornell.
– E poi?…
– Il generale Zabalà presta loro mano forte col mag…
– Basta, – lo interruppe Hang-Tu, con vivacità. – Conosco l’altro. I patriotti hanno fortificato Salitran?…
– Lo credono inespugnabile.
– Lo sforzo del maggiore sarà contro Salitran adunque?
– Sí, capo. Tutte le colonne convergono sull’Imus.
Hang, con un gesto, lo invitò a ritirarsi e fece avanzare il chinese.
– Tu vieni? – gli domandò.
– Da Franquero.
– È vero che quella fortezza è caduta nelle mani degli spagnuoli?
– Il generale Jaramille l’ha espugnata il 16 febbraio.
– Da tre giorni! – esclamò Hang, con doloroso stupore. – E gli insorti?…
– Si ritirano sui monti combattendo.
– Maledizione!… E Pamplona?…
– È pure caduta, capo, – disse uno dei due malesi avanzandosi. – È stata occupata dal colonnello Barranquer dopo un vivo bombardamento che ha costato la vita ad un centinaio dei nostri.
– Tristi notizie! – disse Hang, con un sospiro. СКАЧАТЬ