Le novelle marinaresche di mastro Catrame. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Le novelle marinaresche di mastro Catrame - Emilio Salgari страница 6

СКАЧАТЬ suo vecchio cervello imbevuto di pregiudizi?

      Niente d’allegro di certo, tanto più ch’egli era un vecchio triste come le leggende che ci raccontava, e fantastico come le popolazioni che vivono sotto i nebbiosi orizzonti dei mari del nord.

      – Papà Catrame, – disse il capitano, – cosa ti frulla pel capo questa sera, che hai un viso da funerale?

      – Sono triste, – rispose il vecchio, scuotendosi.

      – Forse che il mio Cipro ti mette indosso la malinconia? Se è cosi, andrò a torcere il collo a quel birbone di musulmano che me lo ha venduto.

      – Il vostro Cipro è eccellente.

      – Forse che sei ammalato?

      Papà Catrame scosse il capo, come per dire di no; poi alzò lentamente gli occhi e, fissandoli su di noi, disse, con voce che faceva un certo senso: – Credete voi alla campana dei morti?

      Ci guardammo in viso l’un l’altro con stupore, misto a una certa paura. Di quale campana intendeva parlare il vecchio mastro?

      Non rispondendo nessuno, chiese: – Avete mai udito suonare la campana sotto il mare, durante le tempeste, prima o dopo una disgrazia?

      – Papà Catrame, – disse il capitano, – vaneggi, o sogni?…

      – No, – rispose il vecchio con energia, – non sogno e non vaneggio; e qualcuno di voi deve averla udita qualche volta.

      – Le antiche storie narrano, – diss’egli, dopo alcuni istanti di silenzio, – che durante le tempeste, le vittime del mare salgono alla superficie e suonano la campana, per chiedere ai naviganti una prece. Voi sorridete ora, perché non credete alle vecchie narrazioni marinaresche; ma aspettate un po’! Più tardi, voi tutti che mi ascoltate, crederete alla campana dei morti, perché papa Catrame l’ha udita suonare in mezzo all’ampio oceano.

      – Che storia funebre dev’esser quella che ci racconterai! – disse il capitano. – Se continui di questo passo, spaventerai tanto questi miei lupicini, che al primo approdo scapperanno tutti, per non ritornare più mai sul mare.

      Papà Catrame alzò le spalle, accese il suo pezzo di sigaro per umettarsi la lingua, poi cominciò la sua terza novella, fra l’attenzione generale.

      – Avevo stretta amicizia con un marinaio inglese, imbarcato sullo stesso legno che io montavo. Non saprei proprio dirvi che tipo fosse: era stravagante, eccentrico come tutti i suoi compatrioti, superstizioso come una femminuccia e di umore sempre tetro.

      – Parlava poco, beveva invece molto, e quando traballava, non faceva che parlare dei morti, poiché aveva sempre una lugubre idea nel cervello, quella di morire molto presto.

      – Ogni volta che la nave lasciava un porto, egli veniva a bordo colle tasche completamente vuote, convinto che quello doveva essere l’ultimo viaggio. Del resto, era un eccellente camerata, con un cuore grande assai, e pagava sovente da bere ai compagni più poveri, faceva piaceri a tutti, e, soprattutto, era un bravo marinaio, rispettoso verso gli ufficiali, audace nelle tempeste e buon cristiano; poiché quantunque inglese di nascita, era irlandese di origine, e voi sapete che gl’irlandesi sono cattolici come noi.

      Mastro Catrame si grattò la testa, come per fare scaturire dal cervello qualche cosa, poi disse: – Si chiamava… Aspettate un po’… la memoria si è fatta debole, e non ha mai ritenuto i nomi… Sì,… è così,… quell’originale si chiamava Morthon, un nome non allegro, come ben vedete; e forse per questo parlava sempre di morti.

      – Avevamo lasciato i porti dell’America del Sud, diretti alle isole Mascarene, non ricordo più se a quella di Borbone, o a quella dell’Unione. Morthon, fedele alle sue abitudini, aveva dissipato nelle taverne del Brasile e della Repubblica Argentina tutti i suoi risparmi, ed era tornato a bordo un’ora prima della partenza, colle tasche penzolanti.

      – Avevo notato però che si era imbarcato di assai cattivo umore, e che il suo viso, butterato dal vaiolo, aveva un’aria da funerale, come dovevo averla io poco fa, quando lo disse il capitano. Presentiva forse la sua imminente fine? Io lo credo, poiché quel povero marinaio non doveva più rivedere né le nebbiose spiagge della sua Inghilterra, né le verdeggianti sponde della Erinni (Irlanda).

      – Un giorno, o meglio, una sera, che eravamo di quarto sul ponte, egli mi si avvicinò col viso disfatto, gli occhi strabuzzati, e mi chiese: «L’odi tu?…»

      – «Che cosa?» – domandai io sorpreso.

      – «Non odi proprio nulla?»

      – «Nulla, fuorché il vento che geme fra il sartiame e le vele«.

      – «È strano!» – disse.

      – «Compare Morthon, hai sonno stasera: va’ nella tua cuccia», gli dissi.

      – Egli mi guardò con due occhi pieni di terrore, e si allontanò più tetro che mai.

      – La sera seguente eccolo avvicinarsi ancora a me, col viso ancora stravolto e bagnato di un freddo sudore, e farmi le stesse domande. Io cominciavo a credere che il cervello di quel povero inglese si fosse guastato, e non vi feci più caso.

      – Cinque sere dopo, trovandoci noi quasi in mezzo all’Atlantico australe, Morthon, che di giorno in giorno diventava più cupo e più taciturno, mi afferrò bruscamente per un braccio serrandomelo come una morsa, e trascinatomi violentemente verso poppa, mi chiese con voce affannosa:

      – «Ma non l’odi tu?»

      – «Tu sei pazzo, Morthon», – gli risposi. – «Quale strana idea tormenta il tuo cervello?»

      – Egli mi guardò fisso, quasi non credesse alle mie parole, poi emise un profondo sospiro, come se gli si fosse levato di dosso un gran peso che gli opprimeva il cuore, e si terse il sudore che gl’inondava il pallido viso.

      – «Non m’inganni tu?» – chiese dopo pochi istanti. – «Non odi proprio nulla? Ascolta bene, Catrame, ascolta attentamente».

      – Mi curvai sul bordo, tesi per bene gli orecchi e ascoltai a lungo, ma nessun suono strano giunse fino a me all’infuori del rompersi delle onde. Guardai Morthon; egli mi fissava con due occhi da far paura, con un’ansietà estrema, come se dalla mia risposta dipendesse la sua vita.

      – «Non odo nulla che possa spaventarti tanto», – gli dissi. – «Parla: cosa odi tu?»

      – «Ho udito suonare poco fa una campana, e sono cinque sere che quei funebri rintocchi giungono ai miei orecchi», – mi rispose con voce rotta.

      – Lo guardai con spavento. Un’antica leggenda marinaresca dice che, quando un marinaio ode la campana, è segno che sta per morire, poiché è la campana dei camerati che riposano nel fondo degli abissi oceanici che lo chiama. Se Morthon la udiva, evidentemente stava per morire, poiché i compagni lo aspettavano nell’umida tomba, nel regno dei coralli.

      – Non volli spaventarlo, e gli dissi che era una pazzia il credere alle antiche leggende, che la sua era un’idea fissa nel cervello, e che non s’inquietasse. Non mi rispose: s’allontanò pensieroso, tetro, borbottando fra sé non so quali parole.

      – Non lo rividi più per parecchi giorni. Seppi poi che si era ammalato, e che di quando in quando veniva colto da accessi furiosi. Due settimane dopo ricomparve in coperta, e appena mi vide, mi disse: СКАЧАТЬ