La tigre della Malesia. Emilio Salgari
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Название: La tigre della Malesia

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ – rispose egli facendosi innanzi francamente.

      – La tua palla? – domandò Sandokan con strano sogghigno.

      – È sul petto – rispose il Malese, – la prima che parte sarà mia.

      – Bene, conosci tu una baia dove non si possa essere molestati da quei cani dell’Australia?

      – La conosco.

      – Bene, dirigi i prahos.

      Ad un ordine del Malese i due legni da preda virarono di bordo dirigendosi verso il sud dell’isola.

      Labuan è un lembo di terra che dista appena otto leghe da Borneo e che ha una circonferenza di circa venticinque miglia.

      Si eleva a 24 metri sul livello del mare; semplici alture tengono luogo di catene di monti, numerosi corsi d’acqua tengono luogo di fiumi, ma i più durante la stagione calda lasciano il letto completamente asciutto. Ha però magnifiche foreste che potrebbero somministrare eccellenti legnami da costruzione, una graziosa vallata con pascoli al nord-est dove finisce in una tranquilla baia. Vedute pittoresche rendono piacevole il soggiorno su quel lembo di terra, che ogni giorno acquista più importanza grazie le scoperte di vene di carbon fossile che si trovano in gran numero, specialmente nelle vicinanze dei fiumi.

      Gl’indigeni non sono numerosi e sono tanto stupidi, che illusi dalla presenza degli stranieri e da regali di due soldi, si sottomisero al velenoso giogo inglese che lentamente ma sicuramente andrà decimandoli per isbarazzarsi di esseri che potrebbero un giorno dar noia alla giovane colonia.

      Fu nel 1846, 24 dicembre, che il capitano Rodney Mundy comparve pel primo a bordo dell’Iris e che ne prese bellamente possesso, dopo di avere spaventati i nativi facendo tuonare le sue artiglierie, come volesse mostrare a quegli esseri semplici la potenza del leopardo inglese. Ed essi, dopo le danze d’onore e una festa si sottomisero senza alzar una sola arma in difesa della terra natia.

      Da quel tempo gli Inglesi vi avevano fondato la cittadella di Vittoria e si affrettavano a lanciare in mare vapori di ferro per reprimere la pirateria flagello di quei disgraziati mari. Sandokan non lo ignorava, no, ed era anzi per questo che voleva prendere terra nel fondo di qualche canale, di qualche seno al sicuro da improvvisi attacchi per poter poi agire a suo bell’agio.

      I due prahos, dopo di aver fiancheggiato per breve tratto la costa coperta da fitti alberi, in mezzo ai quali torreggiava qualche tek, navigando lentamente e con estrema prudenza per non dar sospetto a qualche colono che battesse i dintorni, si cacciarono silenziosamente in un piccolo fiume, che alla foce avevasi scavato poco a poco un seno semi-nascosto da piante palustri.

      Le âncore furono gettate con buona riuscita su di un fondo sabbioso, le vele ammainate senza far rumore come lo dovevano due visitatori che volevano mantenersi incogniti, e i prahos spinti verso la riva destra, nascondendoli del tutto sotto l’ombra dei grandi alberi e dei canneti, che fiancheggiavano una piccola palude di due o trecento metri di estensione. Un incrociatore che avesse battuto la costa, non sarebbe riuscito a scoprire quei due legni pirateschi che si tenevano imboscati come le tigri nel delta del Gange che spiano, sotto le grandi foglie acquatiche, la preda.

      Sandokan e Patau sbarcarono, mentre che il restante dell’equipaggio rimaneva a bordo rigorosamente consegnato. Bisognava agire più che prudentemente per affrettare i piani del formidabile capo, che già contava non solo di veder la Perla, ma di mettere a ferro e fuoco se non tutta almeno una parte dell’isola.

      Armati entrambi di carabine indiane e di scuri, i due pirati s’internarono senza dir verbo sotto la foresta, che lasciava qua e là qualche varco, tracciato talvolta dalla mano umana ma il più dalla naturale disposizione delle piante, che si rizzavano in mille guise differenti, ora ritte, ora inclinate e talvolta contorte come giganteschi serpenti.

      Sandokan guidò il Malese per un duecento passi sotto la foresta, come conoscesse di già il cammino, poi si arrestò ai piedi di un durion colossale le cui frutta pericolose per le cadute che il più delle volte riescono mortali per l’incauto che vi passa sotto, si agitavano leggermente sotto uno stormo di tucani dal becco colossale, che parevano affaccendarsi nella costruzione dei loro strani nidi.

      – Ascolta, Patau – diss’egli. – La vicinanza di nemici, che godono fama di possedere potenti navi e potenti congegni di distruzione, non ti nasconderò che mi inquieta per Mompracem, la mal difesa isola che non saprebbe resistere dinanzi ai loro cannoni, e che è d’uopo ci rimanga. L’intenzione di queste giacche rosse dacché si sono stabilite su questi malaugurati mari, è evidente che mira a portare un colpo fatale alla pirateria; fuggono la nostra presenza, ma spiano e cercano di tagliarci la ritirata invadendo i nostri selvaggi covi.

      – Lo so – rispose il Malese. – Mompracem è troppo vicina a Labuan, offre troppe mire per quei ladri di terre, e un dì o l’altro non mi meraviglierei che una intera flotta si presentasse dinanzi al villaggio e cominciasse una danza infernale a suon di cannone.

      – È ciò che vado pensando anch’io da vario tempo. Vedi, la presenza di questo incrociatore, che fuma silenziosamente su queste onde, non mi rassicura punto riguardo alle sue intenzioni che puzzano di polvere cento miglia lontano. È d’uopo che uno di noi, Mompracem o Labuan, abbia a cedere le armi al più forte. Spenta la pirateria, la Malesia sarà morta.

      – Se io rimanessi in vita – disse Patau senza commuoversi, – agirei prontamente. La colonia va crescendo di giorno in giorno, grazie alla scoperta del carbone che attira maledettamente tutte le navi da guerra dei dintorni; oggi è un pugno di uomini che l’abitano, domani saranno due, da qua un anno cento. Le difficoltà allora saranno cento volte raddoppiate, le mosse difficili sotto l’occhio degli incrociatori e poco a poco la pirateria cadrà.

      Sandokan rimase colle braccia incrociate a mirare il Malese, come per commentar le sue parole che trovava più che giuste, poi ripigliò la via senza smascherare l’audace progetto che lo rodeva.

      Patau lo seguì, cacciandosi come il padrone sotto cespugli spinosi dove vi era pericolo di lasciarvi mezze vesti, tendendo l’orecchio per raccoglier ogni estraneo rumore e coll’occhio in guardia sulle piante vicine, dove poteva darsi che qualche tigre se ne stesse imboscata aspettando la preda al varco o che qualche serpe si dondolasse da qualche ramo pronto ad avviluppare il primo venuto e stritolarlo tra le vischiose anella con una di quelle strette cui non resistono forze umane. Per mezz’ora quei due uomini proseguirono il difficile cammino senza scambiare una sola parola, poi Sandokan tornò ad arrestarsi facendo cenno al compagno di tacersi. Aveva udito lontano un abbaiar di cani che sembravano seguire qualche pesta di selvaggina e che andavano rapidamente avvicinandosi, ed a cui talvolta univasi uno squillo di tromba.

      – Vi sono degli uomini che cacciano – disse Sandokan dopo di avere ascoltato attentamente. – Si vede che questi dannati Inglesi non perdono tempo. Sono sicuro che cacciano le ultime tigri sfuggite alle armi degli indigeni; ovunque è distruzione dove passa l’avvelenato loro soffio.

      – Ma dove andiamo ? – chiese Patau che non comprendeva lo scopo della passeggiata.

      – Dove vuoi che andiamo, se non si va in cerca della Perla?

      – Ma questi uomini? Io credo che mostrarci sia pericoloso.

      – Potrebbe darsi, Patau. Ma a noi occorrono notizie per sapere dove si trova questa Perla e come vanno le faccende della colonia. Tiriamo innanzi. I due pirati, anziché battere prudentemente in ritirata, si riposero in cammino dirigendosi verso il luogo dove udivasi squillare la tromba e abbaiare i cani.

      A poco a poco gli alberi poco prima strettamente uniti, cominciarono diradarsi dando luogo a praticelli e a radure cespugliose in mezzo alle quali s’innalzavano СКАЧАТЬ