I figli dell'aria. Emilio Salgari
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Название: I figli dell'aria

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ e si coprono di piaghe e quando la pena è finita, il prigioniero non è più che uno scheletro. Sono queste le torture minime, che di rado uccidono. Hanno poi gabbie strettissime dove il condannato è costretto a vivere ripiegato in due per mesi e mesi, rovinandosi le carni contro i bambù e storpiandosi le membra; hanno gabbioni più vasti dove si ammucchiano in una sola volta perfino quindici condannati, ai quali i carcerieri danno di rado da mangiare e dove sono costretti a vivere fra la più ripugnante sporcizia.

      Hanno poi altre gabbie irte di chiodi che traforano atrocemente le gambe e le mani dei pazienti; coltelli d’ogni dimensione per tagliuzzare la pelle e quindi strapparla a lembi, funi per strangolare, tenaglie roventi per strappare la carne; poi la terribile pena del ling-cink, ossia del taglio dei diecimila pezzi.

      La decapitazione poi è cosa comune e si eseguisce in pubblico, sotto una tettoia, mediante una larga sciabola, pena forse più temuta delle altre, non amando il cinese andarsene all’altro mondo colla testa staccata.

      E quali orrori poi dentro le carceri! Non sono carcerieri, sono feroci manigoldi, che inchiodano alle pareti le mani dei prigionieri allorquando mancano le catene; che bastonano senza pietà quelli rinchiusi nelle gabbie per farli tacere, quando quei miseri non possono sopportare più oltre l’atroce martirio; che preferiscono appropriarsi dei viveri che il governo assegna alle amministrazioni delle carceri; e che piuttosto di incomodarsi, allorquando qualche prigioniero muore molto sovente di fame, lo lasciano imputridire nella sua gabbia in attesa che i topi lo facciano sparire!

      . . . . . . . . . . . . . . .

      Fedoro e Rokoff erano rimasti come inebetiti dall’orrore, dinanzi all’atroce scena che si svolgeva sotto i loro occhi.

      Intorno a tutte quelle gabbie, degli aguzzini armati di bastoni e di ferri infuocati, bastonavano senza posa i disgraziati che vi stavano rinchiusi o rigavano a fuoco lo loro membra anchilosate, provocando urla e strida orribili.

      Erano almeno una dozzina che s’accanivano con un sangue freddo ributtante, contro una trentina di prigionieri impacchettati fra le traverse di bambù, spaventosamente magri, tutti più o meno sanguinanti, colle vesti stracciate e gli occhi enormemente dilatati dal terrore.

      – Ma questa è una bolgia infernale! – esclamò finalmente Rokoff. – E oserebbero applicare anche a noi quelle torture? Parla, Fedoro!

      – No… non è possibile – rantolò il negoziante di tè, che aveva l’aspetto d’un pazzo. – No… una simile infamia contro di noi!…

      – Fedoro, che cosa possiamo tentare? Ci lasceremo torturare e assassinare in questo modo da queste canaglie? Noi siamo innocenti.

      – Non so che cosa risponderti, mio povero amico.

      – Ciò che ci succede è spaventevole! No, non può essere che un sogno! – gridò Rokoff.

      – È pura realtà, amico mio.

      – E non tenteremo nulla?

      – Non possiamo far altro che rassegnarci.

      – Ah! no, vivaddio! Io spezzerò questa gabbia maledetta e farò un massacro di tutti!

      – Non riuscirai ad abbattere le traverse – disse Fedoro.

      – Lo credi? Ebbene, guarda!

      Il cosacco, a cui il furore centuplicava le forze, afferrò due canne e le scosse con tale rabbia, da farle inarcare e scricchiolare.

      Un carnefice, che stava rigando le cosce ad un disgraziato prigioniero mediante una sbarra di ferro arrossata al fuoco, accortosi di quell’atto, accorse, vociando e minacciando.

      – Toccami, se l’osi! – urlò Rokoff, allungando le mani attraverso le canne.

      Quantunque l’aguzzino non avesse potuto comprendere la frase, vedendo quell’Ercole in quella posa, si era arrestato titubando.

      – Noi siamo europei! – gridò Fedoro. – Guardati, perché le Ambasciate ci vendicheranno e vi faranno uccidere tutti.

      Quella minaccia, forse più che l’atteggiamento del cosacco, aveva fatto indietreggiare il carnefice.

      – Europei! – aveva esclamato.

      Poi, passato il primo istante di stupore e anche di terrore, aveva rialzata l’asta infuocata, minacciando d’introdurla fra le traverse e di calmare i due prigionieri con qualche puntata.

      – Giù quel ferro! – urlò Rokoff, scuotendo le canne con maggior vigore. – Giù o ti strangolo come un cane.

      – Tu non mi fai paura – rispose l’aguzzino. – Ora lo vedrai.

      Stava per farsi innanzi, quando la porta della sala si aprì lasciando il passo al magistrato che aveva arrestato i due europei nella casa di Sing-Sing. Vedendo il carnefice avvicinarsi alla gabbia, con un grido lo arrestò.

      – No, costoro – disse precipitosamente – non ti appartengono! Vattene! Vedendolo, anche Fedoro si era afferrato alle canne, gridandogli:

      – Canaglia! Mettici subito in libertà! Tu sai che siamo stati condannati senza colpa e che gli assassini sono gli affigliati della «Campana d’argento».

      – La liberazione non è lontana – rispose il magistrato. – Abbiate pazienza fino a domani.

      – Allora levateci da questa gabbia.

      – È impossibile per ora.

      – Noi non possiamo resistere a queste atroci scene.

      – V’interessate di quei banditi? – chiese il magistrato.

      – Non siamo abituati ad assistere a simili torture.

      – Manderò via i carnefici.

      – E fate dare da mangiare a quei miserabili che muoiono di fame. La vostra giustizia vi disonora.

      – Avranno dei cibi, – rispose il magistrato. – I nostri carcerati sono trascurati, questo è vero.

      Con un gesto che non ammetteva replica, fece uscire tutti; poi, rivolgendosi ai due europei, disse:

      – Non farete nulla per informare la vostra ambasciata fino a domani mattina? Solo a questa condizione io vi prometto di lasciarvi tranquilli.

      – Avete la nostra parola – rispose Fedoro.

      – Vi farò subito servire il pasto.

      – Se non possiamo quasi muoverci?

      – Vi ho detto che pel momento non posso liberarvi, perché la grazia dell’Imperatore non è ancora giunta. Tranquillatevi e abbiate fiducia nella giustizia cinese.

      – Che cosa ti ha detto quel miserabile? – chiese Rokoff, quando il magistrato fu lontano.

      – Che domani saremo liberi – rispose Fedoro, raggiante. – Essi hanno avuto paura di qualche denuncia all’ambasciata. Hanno voluto solamente spaventarci, sperando forse che noi confessassimo il delitto che non abbiamo commesso.

      – Ti giuro che non me ne andrò da Pechino senza strangolare qualcuno. Mi prendano poi, se ne saranno capaci.

      – E СКАЧАТЬ