Attraverso l’Atlantico in pallone. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Attraverso l’Atlantico in pallone - Emilio Salgari страница 8

Название: Attraverso l’Atlantico in pallone

Автор: Emilio Salgari

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

Серия:

isbn:

isbn:

СКАЧАТЬ spinto da un freddo vento di sud-ovest, filava sopra quella lunga e sottile penisola che racchiude, verso occidente, la baia Placentia, dirigendo verso quella di Trinità. Da quell’altezza l’isola era interamente visibile in tutti i suoi punti, anche i più lontani. Era come un’immensa carta geografica, spiegata sotto gli occhi degli arditi aeronauti. Grandi boschi di larici, di betulle, di pini e frassini apparivano qua e là, come pure parecchi villaggi, situati lungo le spiagge della baia. Si vedevano i pescatori scendere precipitosamente a terra e gli abitanti uscire in fretta dalle capanne ad ammirare il vascello aereo, che filava maestosamente sopra le loro teste e si udivano di quando in quando dei clamori e anche qualche detonazione.

      “Diavolo!” esclamò l’irlandese, che non amava il silenzio. “Ci prendono per aquile? Fortunatamente siamo molto alti e le loro palle non arriveranno fino a noi.”

      “Crederanno di salutarci,” rispose Kelly.

      “Che siano indiani?”

      “Gli indiani di Terranova sono morti tutti e da parecchi anni.”

      “Li hanno distrutti?”

      “La civiltà dei bianchi è fatale alle razze di colore. Dove si introduce, distrugge.”

      “Vi erano delle tribù all’epoca della scoperta?”

      “Sì, e non poche, a quanto sembra, ma scomparvero presto. L’ultima fu quella dei Micmac.”

      “Erano proprio dei barbari?”

      “No, anzi si scoprirono in loro notevoli principi di civiltà, che dimostravano che, in tempi antichi, avevano avuto contatti con gli uomini bianchi.”

      “In tempi anteriori alla scoperta dell’isola?” chiese O’Donnell con sorpresa.

      “Sì, amico mio.”

      “Ma l’isola fu scoperta solo nel 1497! Chi poteva averla visitata prima di Caboto?”

      “Voi mettete in campo un’autentica questione, che ha fatto versare torrenti d’inchiostro agli storici europei.”

      “E quale mai?”

      “Che l’America settentrionale sia stata visitata dagli europei cinque secoli prima delle scoperte di Colombo e di Caboto.”

      “Ma da chi?”

      “Dagli scoto-irlandesi e dai norvegesi.”

      “Questa è bella!”

      “Sembra che prima del 1000 parecchi audaci marinai scoto-irlandesi, spinti o dall’istinto dell’emigrazione o dal desiderio di conquista, siano sbarcati su queste isole e sulle coste del Canada, fondando degli insediamenti e introducendo fra le tribù primitive la religione cristiana. Infatti, si sa che quando i norvegesi, dopo aver scoperto l’Islanda e la Groenlandia, sbarcarono su queste coste, trovarono tracce evidenti del cristianesimo.”

      “Ma che sia proprio vero che i norvegesi siano sbarcati in queste regioni?”

      “Le tradizioni leggendarie che la Saga nordica ha trasmesso fino a noi, accennano alle spedizioni dei norvegesi e degli scoto-irlandesi, e ormai si è certi che qui fondarono parecchi insediamenti, specialmente nella Nuova Scozia e nel Nuovo Brunswick.”

      “Ma che cosa accadde delle loro colonie? Perché non si spinsero verso il sud, alla conquista delle regioni più miti e più ricche?”

      “Ecco quello che si ignora. Di quelle colonie non rimasero che le tracce, sono state distrutte dai selvaggi o qualche terribile malattia ha spento quei primi coloni? Ciò però non toglie alcun merito alle grandi scoperte di Colombo e di Caboto, perché furono loro a far conoscere all’Europa un altro immenso continente, la cui esistenza era stata messa in dubbio e…”

      “Che cosa?”

      “Non vi sembra che il freddo stia improvvisamente aumentando. O’Donnell?”

      ‘“Al punto che batto i detti, ingegnere.”

      “Ascoltate!”

      Entrambi tesero le orecchie e udirono in aria dei leggeri crepitii. Pareva che dei corpuscoli urtassero la superficie degli aerostati. Kelly guardò in alto e vide brillare, ai raggi leggermente tiepidi del sole, delle pagliuzze di ghiaccio che si tenevano sospese in aria. “Comprendo da cosa deriva questo brusco abbassamento della temperatura,” disse, “attraversiamo uno strato di sottili ghiaccioli. Brutto segno: porterà una nevicata.”

      “Tò!” esclamò O’Donnell. “Non vi sembra che ci stiamo abbassando?”

      “Infatti è vero. Questo freddo repentino tende a restringere l’idrogeno, ma appena saremo usciti da questo strato, il sole tornerà a dilatarlo e noi a salire.” Il vascello aereo si abbassava lentamente, ma doveva essere cosa di breve durata. Ben presto il barometro avvertì gli aeronauti che i trovavano a 3000 metri di altezza, mentre prima si erano sempre tenuti a 3500. Quell’abbassamento permise di osservare meglio la grande isola che si stendeva sotto di loro. Si distinguevano perfettamente le abitazioni sparse sul bordo delle grandi boscaglie, gli abitanti che cercavano di correre dietro all’aerostato, credendolo forse un gigantesco uccello di nuovo genere, data la sua forma così differente dai soliti palloni, e si udivano nettamente le loro grida di stupore.

      Alle tre pomeridiane O’Donnell e l’ingegnere scorsero, come annidata sulle sponde di una baia, San Giovanni, la capitale dell’isola. Per alcuni istanti poterono vedere il palazzo dell’assemblea, la dogana, le fortificazioni e le numerose graves che si estendevano per lungo tratto fuori dalla città, poi non videro più che una massa biancastra poiché il vento li spingeva verso nord, ossia in direzione delle baie di Trinità e Bonavista. Alle tre e quaranta minuti si libravano sopra il capo Fuels, avvistando l’isola del Fuoco, e pochi minuti più tardi l’aerostato abbandonava l’isola, filando sopra l’oceano Atlantico, le cui onde si urtavano con profondi muggiti, coprendosi d’un immenso manto di candida spuma.”

      “Addio terra!” esclamò O’Donnell. “D’ora innanzi non vedremo che acqua.”

      “Purché il vento non cambi direzione,” disse l’ingegnere. “Potrebbe spingerci verso il nord e fors’anche ricondurci verso l’America.”

      “Dove ci porta ora?”

      “Diritti al grande banco. Non vedete laggiù, verso l’est, quei punti neri? Sono le navi occupate nella pesca ai merluzzi.”

      “E lontano però il grande banco”

      “Vi giungeremo fra un paio d ore, se la nostra velocità, che è ora di quaranta miglia, non diminuisce.”

      “Si pescano dappertutto i merluzzi, intorno all’isola?”

      “Sì, specialmente quando i pesci cominciano a lasciare il banco per cercare un altro cibo. In primavera i merluzzi si radunano in grandi masse nei dogger-banks delle coste di Islanda, nei fiorden della Norvegia e nei golfi dell’Irlanda, poi si dirigono tutti insieme verso Terranova. È in questa stagione che dalle coste della Norvegia, della Francia, dell’Inghilterra e dell’Olanda partono vere flottiglie di pescatori, i quali, cosa sorprendente davvero, qui vengono senza bisogno di carte e di strumenti necessari a fare il punto, seguendo, direi quasi, una traccia secolare. Si calcolano fino a seimila navi che tutti gli anni vengono impiegate nella pesca del prezioso pesce.”

      “Devono pescarne una СКАЧАТЬ