Название: Poesie scelte
Автор: Giovanni Prati
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
isbn:
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Fra tanti vaghi e graziosi aspetti
Ella felice si credea. Ma sempre
Quella nube fuggevole, quel moto
Misterioso, che la fea per forza,
Tornar crucciata sui passati tempi.
Indi l’acre piacer dell’adornarsi
Le rïassalse il cor.
Donna, per quanto
Scaduta sia dalla sua bella altezza,
Anco nell’onda di cocenti affetti,
Serba sempre un amor per la sua veste.
Fors’è quel senso di pudico orgoglio,
Che le insegna onorar la più gentile
Delle create cose.
Il desir novo
Indovinò Leoni; e benedette
Fur le ricchezze dal felice amante.
E ondosi drappi e gonne agili e bianche,
Come piuma di cigno, e argentei veli
E malinesi e batavi trapunti,
E lane arabe e perse, e nastri e gemme,
A ornar le trecce d’ebano e i nitenti
Omeri e il collo e le nudate braccia,
Tutto, qual per incanto, a sé davanti
Vide la bella fata; e il cor di donna
Con precipiti palpiti battea.
Ma non molto durò; chè come piombo
Le pesâr quelle vesti, e interrogarne
Il perchè non ardiva.
Una rancura
Vigile sempre nel profondo petto
La tormentava, la scotea dall’ebro
Assopimento: le dicea:
– Tu dormi,
Ma teco io sono!
Edmenegarda fece
Per non udir quell’importuno grido.
Ma, qual punta di dardo in piaga viva,
Ei riveniva.
Disperata pianse,
Meditò, corrucciossi, e forza a forza
Apertamente oppose.
– «Hai ben ragione,
Leoni mio. Noiosa è questa vita
Di servitù, chiusi dall’onde. Io stessa,
Che vivrei teco ne’ deserti, or sento
Che dritto n’hai, se la disami. Eguali
Qui gli strepiti, sempre egual la pace;
Gondole eterne e gondolieri e ciance.
Mai quell’ampio e vibrato aere, quel sole
Che non si franga dalle pietre in fiamma;
Mai quel vario veder, quell’agitato
Scalpitio de’ cavalli e quel de’ campi
Dolce tumulto; mai quelle segrete
Melodie che fa l’ôra in tra le fronde;
Né un fil d’erba, né un fior, né una dolce ombra,
Che queti il cuore! E non poter da un cocchio
Splender coll’uom che s’ama; o sulla sponda
Seder d’un rivo e udir per la pianura
Limpidi canti, e nella folta siepe
Il rosignol che piange! In mezzo all’acque
Morrebbe certo l’amator gentile!…
Oh la terra! la terra!… Ai primi padri
Già non fur le pesanti onde marine
Prima stanza d’amore!»
«E non tel dissi,
Edmenegarda mia, che ti verrebbe
Questo vivere a noia? Esserti caro
Quel che a me spiace?… Hai detto ben. La terra,
La terra è stanza dell’amor; non questa
Prigion dell’onde. Cresce, nel sonante
Tumultuar, la vita. A questo pigro
Nido di pesci abbandoniam le stolte
Anime di costor. La non curanza
Con lo spregio si paghi. Edmenegarda!…
Alla terra, alla terra!
«O mio Leoni,
Mi batte il cor di questa ebbrezza!… » —
Han d’uopo
Quei due miseri ormai del tempestoso
Romoreggiar del mondo!
E un agil cocchio,
Tratto in balìa di palafreni ardenti,
Per le città, tra il sonito e la polve,
Già li rapisce; e invidiata splende
La bellissima donna. E or le vetuste
Vie d’Antenore varca; e tu la miri
Seder superba e sfolgorante in quelle
Marmoree maraviglie, onde ai futuri
Inclito andrà del mio Japelli il nome.
Or su i berici colli, in mezzo a tanta
Allegrezza di verde, alle rugiade
Mescon dell’alba i solitari amplessi;
Or volano al beato Adige in riva,
E tra i penduli salci, ove s’estinse
L’armonia di Catullo, un molle accordo
Par che ai lor baci tuttavia risponda.
Poi de’ piani lombardi e delle valli
Cercarono il sereno aere, e la ricca
Popolosa città.
Ma il gelsomino
Sotto i vampi del sol, senza una fresca
Ala di vento che lo irrori, a terra
Debbe un giorno languir!
Sai tu le gioie
Amare e forti della bella figlia
Del Caramano, nei dipinti arémi?…
Oggi il fervido sir preme sul petto;
Pensieroso diman vede il monarca,
E sente il peso delle sue catene.
Un dì, regno sull’alma. Indi è procella
Di tetro amor – di voluttà – di sdegno —
Di fastidio – d’oblio – di rinascenti
Gioie – con vano ritornar sui tempi
Che più non sono.
Di Leoni è fatto
Nebbioso il cor. Qualche benigno accento,
Qualche cura gentil, qualche soave
Sorriso vi splendea, come una queta
Ma fuggitiva luce. Il resto è lampo,
Che vien coll’oragano a illuminarne
Gli schianti e la ruina.
O Edmenegarda,
Che cor fu il tuo – quell’amator sì umano
E caldo e mansueto or lo veggendo
Così diverso!
Gli favella?… È un dono
Inaspettato, s’ei la man le stringe,
O sorridendo le ricambia il detto. —
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