Название: In Silenzio
Автор: Luigi Pirandello
Издательство: Public Domain
Жанр: Зарубежная классика
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Dopo cena, sulla stessa tavola appena sparecchiata, si metteva a studiare, con l’intenzione di presentarsi l’anno appresso agli esami di licenza liceale, per entrar poi – con l’esenzione dalle tasse, se gli veniva fatto – all’Università. Si sarebbe iscritto in legge, e se riusciva a ottener la laurea, questa gli avrebbe servito per qualche concorso di segretario allo stesso Ministero della Pubblica Istruzione. Voleva sollevarsi al più presto da quella meschina e non ben sicura condizione di scrivano. Ma studiando, certe sere, era a poco a poco invaso e vinto da un cupo scoraggiamento. Gli parevan così lontane dal suo presente affanno quelle cose da studiare! E, distratto in quella lontananza, sentiva come vano il suo stesso affanno; e che non dovesse né potesse aver mai fine. Il silenzio di quelle tre stanzette quasi nude era tanto, che gli faceva perfino avvertire il ronzio del lume a petrolio tolto dalla sospensione e posato lì sulla tavola per vederci meglio: si toglieva le lenti dal naso; fissava con gli occhi socchiusi la fiamma e grosse lagrime allora gli pollavano dalle palpebre e piombavano sul libro aperto sotto il mento.
Ma erano momenti. La mattina dopo tornava ad assaettarsi più ostinato, protendendo dalle spallucce ricurve, a modo dei miopi, quell’ossuto visetto di cera, stirato e madido, con quei capelli lisci di malato, troppo cresciuti tra gli orecchi e le gote, e quella violenza delle lenti che gli smaltavano gli occhi rimpiccoliti lucenti e precisi, pinzandogli a sangue le gracili pareti del naso.
Di tanto in tanto veniva a fargli qualche visitina Rosa, la vecchia serva. Piano piano gli faceva notare anch’essa tutte le magagne di quella balia; e, per metterlo in guardia, gli riferiva quanto le dicevano sul conto di lei le donne del vicinato. Cesarino si stringeva nelle spalle. Sospettava che Rosa parlasse per rancore, perché fin da principio, per non essere mandata via, gli aveva proposto d’allevare il bimbo col latte sterilizzato, come aveva veduto fare a tante mamme che se n’erano poi trovate contente. Ma le dovette render giustizia alla fine, quando si vide costretto a cacciar via su due piedi quella balia già gravida da due mesi. Per fortuna il bambino non soffrì del cambiato allevamento, anche per le cure amorose della buona vecchia, la quale si mostrò lietissima di ritornare al servizio di quei due abbandonati.
E ora, finalmente, Cesarino poté assaporare davvero la dolcezza della pace conquistata con tanta pena. Sapeva il suo Ninnì affidato in buone mani, e poteva lavorare studiar tranquillamente. La sera, rincasando, trovava tutto in ordine; Ninnì lindo come uno sposino, e gustosa la cena e soffice il letto. Era la felicità. I primi gridolini, certe mossette piene di grazia di Ninnì lo facevano impazzire dalla gioja. Lo mandava a pesare ogni due giorni, per paura che calasse di peso con quell’allattamento artificiale, non ostante che Rosa lo rassicurasse:
– Ma non sente che a momenti pesa più di me? Sempre con la trombetta in bocca!
La trombetta era il biberon.
– Su, Ninnì, fatti una sonatina!
E Ninnì, subito: non se lo faceva dire due volte, e non gli bastava che gliela reggessero gli altri, la trombetta se la voleva reggere anche da sé, là, da bravo trombettiere e socchiudeva languidi i cari occhiuzzi dalla voluttà. Lo guardavano tutt’e due, in estasi; e, poiché il bimbo, spesso prima che finisse di succhiare, s’addormentava, zitti zitti si levavano e andavano in punta di piedi e rattenendo il respiro a deporlo nella culla.
Riprendendo lo studio serale con raddoppiata lena, ormai sicuro dell’esito, le vere ragioni per cui Napoleone Bonaparte era stato sconfitto a Waterloo, Cesarino oramai le penetrava benissimo.
Se non che, una sera, rientrando in casa – di furia, come soleva, quasi assetato d’un bacio del suo Ninnì – fu arrestato su la soglia da Rosa, la quale, tutta turbata, gli annunziò che c’era di là un signore che voleva parlargli e che lo aspettava da una buona mezz’ora.
Cesarino si trovò di fronte un uomo di circa cinquant’anni, alto di statura e ben piantato, vestito tutto di nero per lutto recentissimo, grigio di capelli e bruno in volto dall’aria cupa, grave. Si era alzato al suono del campanello della porta, e lo attendeva nella saletta da pranzo.
– Desidera parlarmi? – gli domandò Cesarino, osservandolo, sospeso e costernato.
– Sì, da solo; se permette.
– Venga, entri.
E Cesarino gl’indicò l’uscio della sua cameretta e lo fece passare avanti; poi, richiuso l’uscio, con le mani che già gli ballavano, si volse, alterato in viso, pallidissimo, con gli occhi strizzati dietro le lenti e le ciglia corrugate, e avventò la domanda:
– Alberto?
– Rocchi, sì. Sono venuto…
Cesarino gli s’appressò, convulso, trasfigurato, come se volesse inveire:
A far che? In casa mia?
Quegli si trasse indietro, impallidendo e contenendosi:
– Mi lasci dire. Vengo con buone intenzioni.
– Che intenzioni? Mia madre è morta!
– Lo so.
– Ah, lo sa? E non le basta? Se ne vada via subito, o lo farò pentire!
– Ma scusi!
– Pentire, pentire d’esser venuto qua a infliggermi l’onta…
– Ma no… scusi…
– L’onta della sua vista! Sissignore. Che vuole me?
– Se non mi lascia dire, scusi… Si calmi! – riprese egli, così investito, sconcertato. – Io comprendo… Ma bisogna che le dica…
– No! – gridò Cesarino, risoluto, fremente, levando le gracili pugna. – Guardi, io non voglio saper nulla! Non voglio spiegazioni! Le basti avere osato di comparirmi davanti! E se ne vada!
– Ma qua c’è mio figlio… – disse allora quegli, torbido e spazientito.
– Vostro figlio? – inveì Cesarino. – Ah, siete venuto per questo? Ve ne ricordate adesso, che c è vostro figlio qua?
– Prima non potevo… Se non mi lasciate dire…
– Che volete dire? Andate via! Andate via! Avete fatto morire mia madre! Andate via, o chiamo gente!
Il Rocchi socchiuse gli occhi; trasse, gonfiandosi, un profondo sospiro e disse:
– Va bene. Vuol dire che farò valere altrove le mie ragioni.
E s’avvio.
– Ragioni? Voi? – gli gridò dietro Cesarino, perdendo il lume degli occhi. – Miserabile! Dopo che m’hai ucciso la madre, vuoi aver ragioni da far valere? Tu, contro di me? Ragioni?
Quegli si voltò a guardarlo, fosco; ma aprì poi la bocca a un sorriso tra di sdegno e di compassione per la gracilità di quel ragazzo che lo insultava.
– Vedremo, – disse.
E se n andò.
Cesarino rimase al bujo, nella saletta, dietro la porta tutto vibrante dell’impeto violento che in lui, timido, debole, avevano fatto il rancore, l’onta, la paura di perdere il suo piccino adorato. Rimessosi alla meglio, andò a bussare all’uscio di Rosa, che s’era chiusa a chiave, col СКАЧАТЬ