Eros. Giovanni Verga
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Название: Eros

Автор: Giovanni Verga

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

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СКАЧАТЬ la prima volta il giovane non poté sostenere il limpido sguardo della vergine, accese il sigaro ed usci.

      Trovandosi all’aperto, l’aria, il sole, il profumo dei campi, tutte quelle cose salubri e schiette, sembravano purificarlo e rinvigorirlo. Gli ebbri fantasmi della notte, che avevano bisogno del lume, della stearina e delle ombre delle cortine si dileguavano alla chiara luce del sole, e non rimaneva che la mesta e pura figurina di Adele, colle sue candide manine intrecciate sulle ginocchia, e i grand’occhi turchini che l’interrogavano timidamente.

      Il giorno dopo la contessina Manfredini comparve all’ora del desinare, fresca e rosea come prima. Alberto provò un singolare dispetto vedendola cosí. «S’è rimessa?» le domandò.

      «Lo vede!» rispose ella tranquillamente.

      Prendevano il caffè in giardino; Velleda posò la chicchera sulla tavola di marmo, e si mise a dondolare su di una poltrona di legno: «E il suo amico non torna piú?» domandò dopo qualche tempo ad Alberto. Ei rispose, con un po’ di sorpresa: «Verrà domani o doman l’altro».

      «Ah!»

      Si alzò, lasciò i due cugini in giardino, e andò a mettersi al piano. Il tocco della sua mano era secco, nervoso, quasi aspro; la melodia errava scucita, e come soffocata in mezzo ad un nembo di accordi tempestosi; c’era l’indolenza, la sprezzatura, la sbadataggine di chi va seguendo sui tasti i propri pensieri, e non si cura di afferrarli. Quella strana musica irrompeva dalle finestre aperte, e soverchiava, direi turbava, la pace solenne della sera, sembrava udirvi scoppi d’allegria e gemiti soffocati, e aveva qualcosa della leggiadria bizzarra della suonatrice.

      Alberto si avvicinò al piano, e stette a guardar Velleda. Ella sembrava una statua di marmo che suonasse; calma, impassibile, cogli occhi fissi sulla carta.

      «Canterai qualcosa?» domandò Adele

      Ella scosse il capo continuando a suonare, poscia smise, e si alzò.

      «Cosí presto!» disse Alberto «Continui a suonare almeno.»

      Velleda alzò freddamente gli occhi su di lui, e gli domandò:

      «Cosa desidera?»

      «Ma… quel che le pare.»

      Ella si mise a sfogliare della musica senza aggiungere verbo, l’aggiustò sul leggío, e incominciò una canzone di Schubert.

      Adele erasi messa a sedere sul canapè. Alberto, appoggiato alla coda del piano, teneva gli occhi fissi sulla suonatrice: costei non levava i suoi dalla carta, con certa altera freddezza; metteva tutta la sua anima nelle mani, di cui gli anelli scintillavano assai piú dei suoi occhi e vedevasi solo che quel seno si gonfiava dai lucidi riflessi della sua veste, su cui cadeva il lume delle candele. A poco a poco il suono morí nelle corde, le mani si fermarono, e la suonatrice chinò il mento sul petto.

      «È finito?…» domandò Alberto come svegliandosi di soprassalto.

      «Sí» rispose lei bruscamente.

      E andò ad aggiustarsi un fiore tra i capelli, baciò Adele, salutò appena del capo Alberti, e se ne andò.

      «Si soffoca qui!» disse Alberto alla cugina «vado in giardino,»

      Il domani doveva arrivar Gemmati. Alberto andò ad incontrarlo, e dopo la prima stretta di mano il suo amico gli domandò:

      «O cos’hai?»

      «Cosa mi vedi? Sto benissimo.»

      «Stanno tutti bene in villa?»

      «Tutti.»

      «Siamo in broncio, eh?»

      «No!»

      «V’amate sempre?»

      «Non amo che lei!…»

      «Chi ti parla degli altri?» disse Gemmati.

      XII

      Alberto si abbeverò di quel sottile veleno che lo penetrava senza che egli se ne avvedesse, e l’ebbrezza di oggi gli dava la sete per domani – spesso non era che un gesto, un’inflessione di voce, uno sguardo distratto, un sorriso appena accennato. Egli stava in una continua agitazione. Non si accorgeva nemmeno che cercava tutti i mezzi per star vicino alla contessina Manfredini, che accanto a lei era tutt’altro uomo che non poteva saziarsi di rimirarla, ch’era inquieto, dispettoso, cogitabondo quand’era costretto a star colla cugina, non si avvedeva degli innocenti sotterfugi, delle ingenue manovre che la povera Adele inventava per vederlo sorridere; non indovinava le domande che c’erano nel silenzio di lei, l’inquieta ansietà dei suoi sguardi. La poverina cercava almeno la compagnia di Gemmati, come per sfogarsi con lui, come se egli avesse qualche cosa del suo amico, e stava sovente vicino a lui zitta zitta, o pensierosa, o parlandogli di cose indifferenti, spesso ricacciando indietro le lagrime che le facevano velo alla vista, senza osar di svelargli giammai il suo dolore. Lo zio Bartolomeo non guardava piú il tempo, non si fregava le mani, e prendeva tabacco con molta enfasi. Velleda non si accorgeva di nulla, non mostrava di evitar Alberto, ma lo incontrava assai raramente da sola. Al contrario, si trovava piú spesso con Gemmati, stava piú volentieri a discorrer con lui, gli si mostrava graziosa, si faceva accompagnare nelle sue passeggiate, e faceva gravare su di lui il peso dei suoi capriccetti bizzarri.

      Una volta Gemmati, tornando da caccia, avea incontrato le ragazze, Alberti, lo zio Forlani, i coniugi Zucchi, la intera comitiva insomma, al cancello del giardino. Tutti si erano affrettati attorno al suo carniere ben pieno facendogli i mirallegro. Velleda sola rimaneva zitta. Però la signora Zucchi, ch’era molto sensibile, offuscava un po’ la gloria del cacciatore fortunato con esclamazioni compassionevoli verso una “tortorella fedele” che teneva spenzoloni per un’ala, e se la prendeva col crudele divertimento, colla durezza di cuore, ecc. Velleda, seria seria, l’interruppe:

      «Se fossi un uomo non vorrei far altro.»

      «O tu perché non sei venuto?» domandò Gemmati al suo amico, mentre s’avviavano verso la villa

      “Non sono cacciatore, disse Alberti con un po’ d’ironia; non sono destro come te.”

      Gemmati rimase alquanto sorpreso dal tono di quella risposta, consegnò schioppo e carniere ad un domestico, e andò cogli altri; ma lungo il giorno fu pensieroso, ed anche inquieto. Guardava qualche volta il suo amico, tutto annuvolato, e che evitava visibilmente di trovarsi con lui. Alla fine approfittò di un momento in cui erano soli, e gli disse:

      «Alberto, stammi a sentire… Da qualche tempo ce l’hai con me!»

      – «Io?» disse Alberto senza guardarlo.

      Sí, tu, e non so perché. Cosa t’ho fatto?»

      «Nulla, t’inganni. Perché dovrei avercela con te?»

      Gemmati gli prese la mano, ch’ei non osò rifiutargli, e gli disse guardandolo negli occhi:

      «Saresti geloso?»

      «Geloso?…» disse Alberto trasalendo, «e di chi?»

      L’altro ebbe un moto di sorpresa.

      «Ma… dell’Adele.»

      «Perché sarei geloso?» replicò Alberto dopo un breve silenzio, СКАЧАТЬ