Название: Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti
Автор: Italo Svevo
Издательство: Ingram
Жанр: Зарубежная классика
isbn: 9789176377062
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Ogni istante di tempo fuori di ufficio od anche all’ufficio ove in un ripostiglio teneva alcuni libri, lo dedicava alla lettura. Erano in generale letture serie di critica o di filosofia, perché di poesia e di arte stancavano meno. Scriveva, ma poco; il suo stile, poco solido ancora, la parola impropria che diceva di più o di meno e che non colpiva mai il centro, non lo soddisfaceva. Credeva che lo studio lo avrebbe migliorato. Non aveva fretta, e quel poco che faceva era a compimento di un orario che s’era prefisso per il suo lavoro volontario. Dopo di essersi stancato alla banca e alla biblioteca, gettava in carta qualche concettino, qualche espansione romantica con se stesso e che nessun altro riceveva. Di notevole in queste espansioni vi era che il giovinetto sembrava soffrisse di certo male mondiale; alle sue reali sofferenze, alla nostalgia da cui ancora era travagliato, in queste espansioni non era dato luogo. Teneva questi scritti in conto di annotazioni rudimentali di cui voleva servirsi in un lontano avvenire per opere maggiori, drammi, romanzi e peggio.
Non aveva ancora letto interamente un classico italiano e conosceva storie letterarie e studii critici a bizzeffe; più tardi si gettò alla lettura di opere di filosofia tedesca tradotte in francese.
Scoperse la biblioteca civica e quei secoli di cultura messi a sua disposizione, gli permisero di risparmiare il suo magro borsellino. Con le sue ore fisse, la biblioteca lo legava, apportava nei suoi studii la regolarità ch’egli desiderava. La frequentava assiduamente anche perché la sua stanza in casa Lanucci era poco adatta a studiarci. Piccola, a mezzo occupata dal letto, di rado visitata dal sole, era disaggradevole e non era facile pensare su un tavolinetto rotondo di cui le quattro gambe non toccavano mai contemporaneamente il pavimento.
Quando gli era riuscito di vivere la giornata secondo programma, andava alla banca il giorno appresso ancora spossato e lavorava peggio del solito. I sospesi divenivano maggiori e alla sera si trovava dinanzi un fascio enorme di carte giunte da tutte le città d’Italia; a lui sembrava che tutto il mondo congiurasse contro di lui e gl’imponesse quel lavoro.
In biblioteca fece poche conoscenze. Entrava nella lunga sala di lettura tutta occupata da tavoli disposti parallelamente, occupava un posto qualunque e per qualche tempo con la testa fra le mani era tanto assorto nella lettura da non vedere neppure chi accanto a lui sedesse. Dopo un’ora al più, la lettura affaticante gli ripugnava, per qualche tempo ancora vi si costringeva e cessava quando la mente più non afferrava la parola che l’occhio vedeva; usciva non appena deposto il libro e dopo quell’ora passata con gl’idealisti tedeschi, gli sembrava sulla via che le cose lo salutassero.
R
VII
Alfonso era venuto in città apportandovi un grande disprezzo per i suoi abitatori; per lui essere cittadino equivaleva ad essere fisicamente debole e moralmente rilasciato, e disprezzava quelle ch’egli riteneva fossero le loro abitudini sessuali, l’amore alla donna in genere e la facilità dell’amore. Credeva di non poter somigliare loro e si sentiva ed era per allora molto differente. Non aveva conosciuto la sensualità che nell’esaltazione del sentimento. La donna era per lui la dolce compagna dell’uomo nata piuttosto per essere adorata che abbracciata, e nella solitudine del suo villaggio, ove il suo organismo era giunto a maturità, ebbe l’intenzione di serbarsi puro per porre ai piedi di una dea tutto se stesso. In città quest’ideale perdette ben presto qualunque influenza sulla sua vita per non vivere che nel suo proposito, un proposito vago che non aveva forza che quando non c’era bisogno di lotta.
Ma come teoria ci teneva anche dopo di essersi accorto che appariva ridicola agli occhi di coloro cui la esplicava. Non sapeva come supplirvi; abbandonandola avrebbe creato un vuoto nella sua vita. Non la enunciò più, così che Miceni a torto si vantava di aver operato una conversione.
A ventidue anni i suoi sensi avevano la delicatezza e la debolezza dell’adolescenza. Aveva dei desideri ch’egli sapeva reprimere soltanto con grandi sofferenze. A provocare questi desideri, dura irrisione al suo sogno, bastava una gonnella o anche il pensarci, ed erano forti abbastanza per toglierlo improvvisamente alla lettura quando vi si era messo e farlo correre per le vie, spinto da un’agitazione vaga, indefinita, s’egli non ne avesse conosciuta l’origine. In tale stato non poteva dedicarsi che ad una sola occupazione, quella di seguire per lunghi tratti di via qualche gentile figura di donna ammirandola timido e vergognoso. Tardi gli venne il pensiero di spingere oltre le cose. Fino ad allora aveva atteso che il suo ideale venisse a lui.
Una sera, correndo, si trovò dietro ad una donna che passando lo aveva guardato. Vestita di nero, teneva molto alta la sottana e lasciava vedere un piedino calzato in eleganti scarpette lucide, una calza nera, l’attaccatura del piede gentilissima per un corpo agile ma non misero. Alfonso vide ancora il collo, dalla pelle bianchissima; nulla della faccia.
Risolutamente la seguì, la sorpassò, poi l’attese come un cagnolino. La signora a lui pareva ridesse guardandolo alla sfuggita e, incoraggiato, egli si propose di avvicinarla. Era la prima volta ch’egli si trovasse in tale imbarazzo. Ebbe delle esitazioni che lo costrinsero poi ad accelerare il passo. Ella attraversò il Corso e imboccò via Cavana; doveva passare dinanzi alla biblioteca. — Alla peggio andrò in biblioteca, — pensò Alfonso per dare alla sua passeggiata una meta sicura.
La precedette e si fermò alla porta della biblioteca. Ella passò mentre la luce di un fanale faceva risaltare la bianchezza del collo e brillare la lacca della scarpetta, ma non lo guardò, ciò che ad Alfonso levò per qualche tempo la voglia di seguirla. Lentamente ella salì l’erta della via dei SS. Martiri lungo il Tribunale mentre appoggiato ad un paracarro egli si contentava di seguirla con l’occhio. Poi, quando ella aveva quasi terminata l’erta, egli si avanzò sino al Tribunale. Vide la figurina prospettarsi sul cielo, le curve precise come se le avesse viste più da vicino. Ancora un istante di esitazione e l’avrebbe perduta di vista; non v’era tempo a riflettere e il suo desiderio parlò chiaro ed imperioso spingendolo ad una corsa sfrenata in modo che la raggiunse prima ch’ella si trovasse sul piano. Era agitato, ma tanto stanco ch’era là là per lasciare la risoluzione presa da poco. In mente la stessa idea che lo aveva fatto correre dal Tribunale in su, le si avvicinò: — Signora... — le disse e levò il cappello, ma la respirazione divenuta più affannosa dacché s’era fermato, gl’impedì di continuare. Un occhio azzurro lo guardò con freddezza glaciale e trovandosi poco preparato per parlare avendo pensato solo a correre, semplicemente si fece in parte per lasciarla passare, e pigliò fiato, lieto come se avesse temuto di venirne impedito. I desideri che lo coglievano con tanta rapidità altrettanto rapidamente lo abbandonavano; per dimenticarli gli bastava di venir scosso da un timore o da una fatica.
Per certo tempo ogni sera correva dietro a qualche donna, ma soltanto a quelle ben vestite, perché l’oggetto dei suoi sogni era tutt’altro che pezzente e ad ogni corsa poteva illudersi di trovarlo. Questi conati all’amore avevano sempre il medesimo risultato. La sua timidezza vinceva i propositi fatti con la maggior risolutezza e bastava un gesto di ripulsa dell’aggredita od anche meno, lo sguardo indiscreto di qualche passante, per farlo desistere.
Dovette però fare l’esperienza che non era soltanto la sua timidezza che gl’impediva l’amore, ma i suoi dubbi, le sue esitazioni, e persino quel suo ideale portato dal villaggio e cacciato in un canto ma non scomparso. Esso capitava fuori tutt’ad un tratto quando Alfonso lo aveva del tutto dimenticato e gli faceva disprezzare col suo splendore quella miserabile realtà che gli era concessa.
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