Soldato, Fratello, Stregone . Морган Райс
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СКАЧАТЬ Dovrebbe essere facile da organizzare.”

      “Senza attirare troppe attenzioni?” chiese Stefania.

      “Un gestore di carovane che attira troppe attenzioni è uno che si fa derubare,” assicurò Elethe. “E poi troveremo più informazioni quando arriveremo alla città. Cadipolvere è casa mia, mia signora.”

      “Sono certa che sarai di grande aiuto,” disse Stefania in un modo che sembrava un’espressione di gratitudine. Un tempo questo avrebbe fatto saltare di gioia la sua damigella, ma ora non fece che sorridere. Probabilmente aveva a che fare con le attenzioni che stava ricevendo da parte di Felene.

      Un sottile filo di rabbia allora crebbe in Stefania. Non gelosia nel senso convenzionale del termine, perché lei non provava quei sentimenti per la ragazza. Per nessuno, ora che Tano se n’era andato dalla sua vita. No, questo era semplicemente perché la sua damigella era sua. Una volta la ragazza si sarebbe gettata alla rovina al comando di Stefania. Ora Stefania non poteva esserne così certa, e questo le bruciava. Avrebbe dovuto trovate un modo per metterla alla prova prima che tutto prendesse il via.

      Avrebbe dovuto fare un sacco di cose prima di finire tutto a Cadipolvere. Avrebbe dovuto trovare questo stregone, e anche se la sua damigella conosceva un modo per arrivare al posto giusto, ci sarebbero comunque voluti tempo e fatica. Avrebbe dovuto farlo in un terra straniera, dove la politica e la gente sarebbero stati diversi, anche se le loro debolezze erano generalmente le stesse in tutto il mondo.

      Anche una volta trovato lo stregone, avrebbe dovuto cercare un modo per apprendere ciò che lui sapeva o per ottenere il suo aiuto. Forse ci sarebbero voluti solo soldi, o un po’ di fascino, ma Stefania ne dubitava. Qualsiasi stregone abbastanza potente da fermare uno degli Antichi sarebbe stato in grado di prendere ciò che voleva dal mondo.

      No, Stefania avrebbe dovuto essere più creativa, ma avrebbe trovato un modo per farlo funzionare. Tutti volevano qualcosa, che fosse il potere, la fama, la conoscenza o semplicemente la salvezza. Stefania aveva sempre avuto il dono di scoprire ciò che la gente voleva: molto spesso era la leva che li portava a fare ciò che Stefania aveva bisogno da loro.

      “Dimmi, Elethe,” disse di slancio. “Cos’è che vuoi?”

      “Servire voi, mia signora,” disse immediatamente la ragazza. Era la risposta giusta ovviamente, ma in essa c’era una nota di sincerità che a Stefania piaceva particolarmente. Avrebbe scoperto la vera risposta a tempo debito.

      “E tu, Felene?” le chiese.

      Vide la ladra scrollare le spalle. “Qualsiasi cosa il mondo abbia da offrire. Probabilmente con un sacco di tesori, bevute, amici e divertimento. Non necessariamente in questo ordine.”

      Stefania rise sommessamente, fingendo di non aver colto il tono bugiardo. “Certo. Cos’altro si potrebbe desiderare.”

      “Perché non lo dici tu?” ribatté Felene. “Cos’è che vorresti, principessa? Perché attraversare tutto questo?”

      “Voglio essere al sicuro,” disse Stefania. “E voglio vendetta contro coloro che mi hanno portato via Tano.”

      “Vendetta sull’Impero?” chiese Felene. “Immagino di poter stare dalla tua parte. Mi hanno gettata su quelle loro isola dopotutto.”

      Se voleva credere che la vendetta contro l’Impero era ciò che Stefania voleva, allora che lo credesse pure. Gli oggetti della rabbia di Stefania erano più semplicemente definibili: Ceres, poi Tano e tutti coloro che li avevano aiutati.

      Silenziosamente Stefania ripeté il giuramento che aveva pronunciato a Delo. Avrebbe cresciuto suo figlio facendolo diventare l’arma perfetta contro suo padre. Lo avrebbe cresciuto con amore: di certo non era un mostro. Ma avrebbe avuto anche uno scopo. Avrebbe saputo ciò che suo padre aveva fatto.

      E cose come quelle non si potevano perdonare.

      CAPITOLO QUATTRO

      Lucio aveva trascorso la maggior parte del viaggio verso Cadipolvere con l’impulso di voler pugnalare qualcuno. Ora che vi si stava avvicinando, il sentimento si faceva solo più intenso. Se ne stava lì con gli abiti luridi, il sole che gli cuoceva la pelle, fuggendo da un impero che avrebbe dovuto accorrere per obbedirgli.

      “Guarda dove vai, ragazzo,” disse uno dei marinai passandogli vicino per andare a fissare una fune. Lucio non si era curato di ricordare il nome dell’uomo, ma in quel momento desiderò di averlo fatto, se in quel modo avesse potuto lamentarsi con il capitano di quella bagnarola riguardo alla sua ciurma.

      “Ragazzo? Sai chi sono e osi chiamarmi ragazzo?” chiese Lucio. “Dovrei andare dal capitano Arvan e farti frustare.”

      “Fallo,” disse il marinaio con il tono annoiato di qualcuno che sapeva di essere del tutto al sicuro, “e vedrai come va a finire.”

      Lucio agitò i pugni. La parte peggiore era la sensazione di futilità. Il capitano Arvan si trovava al comando sul ponte con il timone della sua barca in mano e la stazza di quell’uomo ondeggiava a ogni onda che colpiva l’imbarcazione. Aveva fatto perfettamente capire a Lucio che lui aveva importanza solo fintanto che il suo denaro fosse stato sufficiente.

      Come sempre da quando era partito, la rabbia portò con sé immagini di sangue e pietra. Il sangue di suo padre che macchiava la pietra della statua del suo antenato.

      Quello con cui mi hai ucciso.

      Lucio lo fissò, anche se la voce era stata lì, chiara come il cielo di mattina, profonda come la colpa fin da quando aveva dato il primo colpo. Lucio non credeva nei fantasmi, ma il ricordo della voce di suo padre era ancora lì e gli rispondeva ogni volta che cercava di pensare. Sì, era solo la sua mente che gli giocava degli scherzi, ma la cosa non era per niente migliorata. Significava che addirittura i suoi stessi pensieri non facevano come lui desiderava.

      Niente pareva farlo al momento. Il capitano della barca su cui aveva trovato un passaggio lo aveva accolto borbottando, come se non fosse un onore avere Lucio a bordo con sé per quel viaggio. I suoi uomini trattavano Lucio con disprezzo, come un comune criminale che fuggiva dalla giustizia, piuttosto che come un corretto governatore dell’Impero, usurpato del suo trono.

      Del trono di Tano.

      “Non il trono di Tano,” disse Lucio parlando con l’aria. “Il mio.”

      “Hai detto qualcosa…?” chiese il marinaio senza neanche curarsi di girarsi.

      Lucio si allontanò e diede un pugno pieno di risentimento al legno dell’albero maestro, ma questo non fece che procurargli un forte dolore alle nocche che rimasero spellate. Se avesse potuto fare come era solito, avrebbe fatto scuoiare vivi anche uno o due uomini della ciurma.

      Eppure Lucio teneva le distanze da loro, mantenendosi nella parte vuota del ponte dove gli era stato detto che poteva andare, come se fosse un uomo comune a cui dover dire dove andare. Come se non potesse lui stesso reclamare la proprietà di ogni singolo vascello dell’Impero se avesse voluto.

      Ma il capitano della barca aveva fatto proprio così. Aveva lasciato Lucio con chiare istruzioni di stare lontano dalla ciurma mentre lavoravano, e di non causare guai.

      “Altrimenti ti troverai dall’altra parte del parapetto e ci dovrai andare a nuoto a Cadipolvere,” aveva detto l’uomo.

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