Contro Ogni Nemico . Джек Марс
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Читать онлайн книгу Contro Ogni Nemico - Джек Марс страница 12

СКАЧАТЬ Simpson…”

      “Montgomery,” disse Luke. “Un paio di altri.”

      Gli occhi di Don erano molto vivi. “Giusto. Il pilota ha combinato un macello e ci ha buttati nel fiume, in uno degli affluenti. Siamo tutti precipitati in acqua con addosso diciotto chili di zaino.”

      “Non mi piace pensarci,” disse Luke. “Ho sparato a quel rinoceronte.”

      Don lo indicò. “Giusto. Me n’ero dimenticato. Il rinoceronte ci ha caricati. Riesco ancora a vederlo sotto la luce della luna. Però ci siamo arrampicati fuori, zuppi, e abbiamo squarciato la gola di quel bastardo sanguinario – gli abbiamo decapitato tutta la squadra con un solo rapido e decisivo colpo. E non abbiamo torto un capello a nessuno dei bambini. Sono stato orgoglioso dei miei uomini, quella notte. Sono stato orgoglioso di essere americano.”

      Luke annuì di nuovo, quasi sorrise. “È stato molto tempo fa.”

      “Per me è stato ieri,” disse Don. “Ho appena cominciato a scriverlo. Domani aggiungo il rinoceronte.”

      Luke non disse nulla. Era stata una missione, una delle tante. L’autobiografia di Don sarebbe stata un libro lungo.

      “E qual è il punto,” disse Don. “Qui non è male. Il cibo non è neanche cattivo – be’, non è cattivo come ci si potrebbe aspettare. Ho i miei ricordi. Ho una vita. Ho messo su una routine di esercizi fisici che per la maggior parte posso fare qui, nella cella. Squat, pushup, chin up, persino posizioni yoga e tai chi. Ho una sequenza, e la eseguo per ore ogni giorno, cambio velocità, la inverto. Ha anche una componente mentale. Credo che darebbe il via a dei patiti del fitness, se la gente la conoscesse. Vorrei registrarla – Prison Power. Mi ha messo in una forma migliore di quando ero fuori nel mondo, libero di fare tutto ciò che mi pareva.”

      “Okay, Don,” disse Luke. “Questa è la tua villa per la pensione. Carino.”

      Don sollevò una mano. “Voglio vivere, è questo che ti sto dicendo. Mi faranno l’iniezione. Lo sai tu e lo so io. Non voglio l’iniezione. Senti, sono realistico. Lo so che non otterrò la grazia, non nell’attuale ambiente politico. Ma se l’informazione che ti ho dato darà risultati, voglio che la presidente commuti la mia in una sentenza a vita senza la possibilità della condizionale.”

      Luke era irritato dall’incontro. Don Morris se ne stava seduto su quello che consisteva in un bagno di pietra, a scrivere le sue memorie e a sviluppare ciò che sperava sarebbe diventata una passeggera moda nel fitness. Patetico. Luke una volta vedeva Don come un grande americano.

      La valvola di controllo del sangue di Luke passò da caldo a incandescente. Aveva i suoi problemi, e la sua vita, ma ovviamente a Don non importava tanto. Don era diventato il centro del suo personale universo, lì dentro.

      “Perché lo fai, Don?” Indicò la cella. “Cioè…” Scosse la testa. “Guarda questo posto.”

      Don non esitò. “L’ho fatto per salvare il mio paese, e lo rifarei. Thomas Hayes era il presidente peggiore dai tempi di Herbert Hoover. Su questo non ho dubbi. Ci stava portando sottoterra. Non aveva idea di come proiettare il potere dell’America nel mondo, e non aveva la propensione a farlo. Pensava che il mondo si prendesse cura di sé. Si sbagliava. Il mondo NON si prende cura di sé. Ci sono forze oscure allineate contro di noi – vanno fuori controllo se per un secondo non le guardiamo. Si fanno posto nel vuoto di potere che lasciamo loro. Vittimizzano il debole e l’inerme. I nostri amici perdono la fede. Io non potevo più restare in attesa e lasciare che accadessero queste cose.”

      “E che cosa hai ottenuto?” disse Luke. “Il paese lo sta gestendo la vicepresidente di Hayes.”

      Don annuì. “Giusto. E lei ha un paio di cojones più grossi di lui. La gente a volte ti sorprende. Non sono scontento di avere Susan Hopkins come presidente.”

      “Ottimo,” disse Luke. “Glielo dirò. Sono sicuro che sarà deliziata di sentirlo. Don Morris non è scontento della tua presidenza.” Si alzò. Era pronto ad andare. Quel piccolo incontro avrebbe dato molto su cui riflettere.

      Don saltò giù dal letto. Mise di nuovo la mano sulla spalla di Luke. Per un attimo Luke pensò che Don avrebbe buttato fuori qualcosa di emotivo, qualcosa che Luke avrebbe trovato imbarazzante, come, “Non andare!”

      Ma Don non lo fece.

      “Non ignorare quello che ti ho detto,” disse. “Se è vero, abbiamo problemi. Anche una sola arma nucleare nelle mani dei terroristi sarebbe la cosa peggiore a cui si può pensare. Non esiteranno a usarla. Un lancio di successo e il genio è fuori dalla bottiglia. Chi se la becca? Israele? E chi colpiscono quelli con le loro testate? L’Iran? Come si mette il freno a questa cosa? Si chiede un time out? Ne dubito. E se veniamo colpiti noi? O i russi? O entrambi? E se viene innescata una serie automatica di rappresaglie? Paura. Confusione. Fiducia zero. Uomini nei silos, le dita che si agitano, a indugiare sopra al pulsante. Ci sono molte armi nucleari ancora sulla Terra, Luke. Una volta che cominciano i lanci, non c’è una buona ragione per fermarli.”

      CAPITOLO SEI

      20 ottobre

      3:30

      Georgetown, Washington, DC

      Un pick-up nero lo stava seguendo.

      Luke aveva preso un volo notturno per tornare. Adesso era stanco – esausto – però ancora iperattivo e sveglio. Non sapeva quando avrebbe dormito di nuovo.

      Il taxi lo aveva scaricato di fronte a una fila di belle brownstone. Le strade a tre corsie erano silenziose e vuote. Sembravano luccicare nella luce delle lampade barocche. Mentre il taxi se ne andava, lui se ne stava in piedi sulla strada ad assaporare la notte fredda. Gli alberi stavano perdendo le foglie – erano ovunque per terra. Mentre osservava, ne scesero delle altre.

      Dall’aeroporto, era venuto dritto alla casa di Trudy. Le ombre erano tirate, ma almeno sulla strada era accesa una luce a livello dell’appartamento. Non c’era nessuno in casa – le luci chiaramente erano comandate da un timer, probabilmente un timer di poco prezzo preso in un negozietto. Lo schema era sempre lo stesso. Trudy doveva averlo impostato prima di andarsene.

      Il posto era ancora suo – Luke questo lo sapeva. Swann aveva hackerato il suo conto in banca. C’erano dei pagamenti automatici per il mutuo, le tasse per il mantenimento dell’immobile e l’elettricità. Aveva pagato in anticipo due anni di tasse sull’immobile stimate.

      Era scomparsa, ma l’appartamento c’era, che procedeva per conto suo come se non fosse accaduto nulla.

      Perché continuava ad andarci? Pensava che improvvisamente una notte sarebbe stata a casa? Pensava che i mesi passati si sarebbero cancellati da soli?

      Si fermò per qualche secondo soltanto, distogliendo lo sguardo dal pick-up, immaginandoselo lì dietro, ricordandoselo nel momento in cui, qualche istante prima, l’aveva superato a piedi.

      Era ampio, resistente, il tipo di furgone che si vedeva sui siti edili. I finestrini della cabina erano affumicati, rendendo impossibile vedere granché dell’interno. Anche così aveva la sensazione che ci fossero due ombre dietro quei finestrini. I fanali del furgone erano spenti quando prima lo aveva superato, ed erano ancora spenti – non c’erano state luci in avvicinamento ad avvertirlo. Quello che aveva tradito il furgone era stato il rumore. Riusciva a sentirne СКАЧАТЬ