L’ira Dei Vilipesi. Guido Pagliarino
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Название: L’ira Dei Vilipesi

Автор: Guido Pagliarino

Издательство: Tektime S.r.l.s.

Жанр: Книги о войне

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isbn: 9788873047018

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СКАЧАТЬ Bordin aveva ritenuto saggio scusarsi, sia pur a denti stretti: “Perdonate, signor commissario, è stato tanto per dire, non volevo criticarvi.”

      Se Vittorio D’Aiazzo, col tempo, avrebbe acquisito appieno l’umiltà grazie alle metaforiche sberle della vita, al momento voleva ancor essere lui a pronunciare l’ultima parola: “Va bene, ma d’ora in poi pensa a quello che dici, prima di dire quello che pensi.”

      L’uomo aveva ritenuto saggio irrigidirsi sull’attenti: “Signorsì.”

      â€œSta’ pure sul riposo e non restare mortificato”, aveva addolcito il tono il superiore, nel quale aveva avuto la meglio, finalmente, la compassione. Aveva proseguito: “Hai detto che il Perati faceva confessare tutti: certo, lo so bene, me l’avevano raccontato quand’ero arrivato qui; ma tu te lo ricordi chi l’aveva ammazzato?”

      â€œSissignore, la madre d’un ladro abituale…”

      â€œâ€¦ladro cui il Perati aveva lanciato l’accusa d’aver accoltellato a una mano un panettiere, per derubarlo, e che aveva fatto confessare sì, ma come? Legandolo a pancia in su sopra un tavolo e frustandolo con la cinghia; e due giorni dopo, te lo ricordi? l’indagato era morto per un’emorragia interna.”

      â€œScusatemi, posso parlarvi liberamente ma con tutto il rispetto?”

      â€œPuoi.”

      â€œIo credevo che il dottor Perati fosse stato nel giusto perché non ne aveva avuto rimproveri da superiori.”

      â€œAllora non sai che la faccenda era stata sepolta per ordine del federale di Napoli19 , perché il Perati era fascistissimo e leccapiedi; e però, nella mente della madre del morto la cosa non era stata affatto seppellita, e oltretutto ella aveva appreso, un paio di settimane dopo la morte del figlio, ch’egli era innocente tanto del ferimento che del furto, e questo tu lo sapevi, no?”

      â€œSapevo che il vero colpevole era stato riconosciuto per strada dal panettiere e denunciato a una nostra pattuglia, dalla quale era stato fermato e portato qui.”

      â€œGià, e la mamma del morto ne era stata messa al corrente da un amico del figlio, che aveva raccolto la verità in giro; e la sai una cosa? Non era stato troppo iniquo, in fin dei conti, che quella donna fosse venuta da noi chiedendo di parlare al Perati, con la scusa d’avere rivelazioni da fargli, e una volta davanti a lui avesse estratto un piccolo coltello per la spellatura della carne dal proprio seno e gli avesse mollato un fendente che gli era giunto al cuore; e quasi mi dispiace ch’ella fosse stata bloccata subito dopo e che adesso sia in attesa di giudizio, perché temo che sarà condannata a morte per omicidio premeditato.”

      â€œSperiamo le concedano la seminfermità mentale”, gli era stato solidale il Bordin.

      â€œSperiamolo; ma a parte questo, tu adesso mi vai al deposito automezzi con questo foglio di servizio… tieni: è la mia autorizzazione a prelevare una macchina con conducente; poi vai a controllare in vicolo Santa Lucia se l’Esposito è persona conosciuta.” Gli aveva sporto anche la patente dell’inquisito: “Fai vedere la foto alla madre, sempre se ella esiste, e pure ai vicini, e raccogli quanto puoi su di lui.”

      â€œAgli ordini; al ritorno però, signor commissario, magari io me andrei in camera a dormire ché, per oggi, le mie ore di servizio sarebbero già scadute.”

      â€œDovere e sacrificio è il nostro motto”, gli aveva restituito sorridente, in uno spontaneo endecasillabo, il superiore, gran lettore di poeti classici.

      Essendo noto in Questura che la temperatura sociale in città stava salendo e non era affatto improbabile una sollevazione, prima di recarsi all’autorimessa il brigadiere aveva voluto passare dalla sala radio per raccogliere notizie sulla situazione esterna. Non appena reso edotto, era tornato dal diretto superiore e l’aveva informato che camionette di ronda avevano comunicato ch’erano iniziati isolati scontri a fuoco. Aveva concluso chiedendo: “Signor dottore, devo proprio andarci oggi, o posso aspettare domani, ché forse il clima si sarà calmato?”

      Prima che il D'Aiazzo avesse deciso, avevano preso a salire dalla via Medina, su cui s’affacciava e ancor s’affaccia la Questura di Napoli, i rombi dei motori diesel di automezzi che stavano passando in colonna davanti all’ingresso principale del palazzo, come tutti i giorni da due settimane: si trattava d’un plotone motorizzato di granatieri germanici che andava a dare il cambio a un altro, dello stesso battaglione, comandato a guardia d’un corridoio all’ultimo piano di Castel Sant’Elmo, possente baluardo che s’eleva sulla collina del Vomero a 250 metri sul livello del mare e da cui s’osservano il Golfo e la città: su quel corridoio s'affacciano due locali non comunicanti fra loro adibiti in quel tempo ad armeria del fortilizio, di cui uno è uno stanzone che conteneva armi e munizioni convenzionali e l'altro un ambiente non molto grande che custodiva armamenti segreti di progettazione e produzione italiane. La sorveglianza delle armi si svolgeva ventiquattr’ore su ventiquattro in due turni, dalle 8 e mezza alle 20 e 30 e dalle 20 e 30 alle 8 e mezza. Fin dal 9 settembre i tedeschi avevano occupato Castel Sant’Elmo impadronendosi degli armamenti, con particolare interesse per quelli speciali. Proprio a causa di tali armi non convenzionali, lo stesso castello era in quei giorni un obiettivo primario per gli Alleati che, da tempo, se ne stavano occupando coi propri servizi segreti.

      Vittorio D’Aiazzo stava per rispondere al sottoposto di tralasciare il suo precedente ordine e d'andarsi a riposare, quando s’erano levati spari dalla via Medina, dapprima di fucili e d’un mitragliatore leggero, poi, in rapida successione, di mitra e d’una mitragliatrice.

      Vice commissario e aiutante s’erano abbassati istintivamente e, avanzando a gambe semi piegate, s’erano portati alla finestra e avevano fatto capolino guardando di sotto, esponendosi il meno possibile.

      Contemporaneamente, diversi altri poliziotti avevano sbirciato giù dai rispettivi uffici, tanto personale del turno smontante che di quello montante essendo l'ora del cambio, le 8 in punto; arrivato da poco, aveva spiato dalla propria finestra anche il caposezione vice questore Remigio Bollati; il suo ufficio dava sullo stesso corridoio su cui s’affacciava quello di Vittorio e i due locali erano contigui.

      Occhieggiando di sotto s'era visto o intravisto, a seconda della posizione della propria finestra, a una cinquantina di metri oltre il portone e il limitrofo passo carraio, il plotone teutonico fermo in mezzo alla strada, al riparo dei propri automezzi allineati di traverso, impegnato in uno scontro a fuoco con persone che dovevano essere più in là sulla via e che non si potevano scorgere dal palazzo della Questura, ma di cui ben s’udivano gli spari: si poteva supporre che fossero riparate dietro i muri diroccati e i cumuli di macerie di due vicini palazzi, fra loro prospicienti, bombardati pochi giorni prima dell’8 settembre da fortezze volanti americane.

      Capitolo 4

      Per meglio intendere, torniamo un poco indietro:

      Costituitosi il Fronte Unico Rivoluzionario partenopeo e vista la ritrosia del prefetto Soprano a prenderne la direzione, ne era stato eletto capo l’operaio settantenne Antonio Taraia che, il giorno 24 settembre, ritenendo la situazione ormai matura per l’insorgenza, aveva indetto per la mattina successiva una riunione nel liceo Sannazaro, onde metterne la decisione ai voti. La convinzione che fosse ormai tempo d’agire gli era venuta tanto dalla notizia che gli angloamericani erano СКАЧАТЬ