L’ira Dei Vilipesi. Guido Pagliarino
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Название: L’ira Dei Vilipesi

Автор: Guido Pagliarino

Издательство: Tektime S.r.l.s.

Жанр: Книги о войне

Серия:

isbn: 9788873047018

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СКАЧАТЬ doveva significare no.

      Nell’avvicinarsi a piazza Carità, gli undici patrioti avevano cominciato a udire le ripercussioni di raffiche di mitragliatrice. Passati due minuti, erano giunti ai loro orecchi echi di mitra seguiti da una detonazione. Dopo un altro paio di minuti, erano risonate raffiche di mitragliatrici il cui crepitio era divenuto, via, via, più forte all’avvicinarsi della blindo, giunta adesso quasi alla piazza: era ormai fuor di dubbio che proprio là si stava sparando.

      Vittorio aveva comandato al Bordin e ai due agenti di mettersi alle mitragliatrici e di armarle restando preparati a sparare al suo comando; da parte sua s’era messo dietro a una feritoia a prua per osservare fuori, pronto a ordinare il fuoco.

      Capitolo 6

      L'autoblindo era sbucata a passo d’uomo da via Cesare Battisti in piazza Carità.

      Il drago tedesco s’era stagliato attraverso la feritoia a prua, piantato immobile a una quarantina di metri a 45 gradi alla destra del mezzo italiano: era un carro Panther dalla formidabile corazzatura di 110 millimetri, armato con un cannone da 75 e due mitragliatrici MG, una in torretta e una nel corpo dello scafo a prua, le quali fino a poco prima avevano vomitato fuoco. Sembrava quasi che il bestione stesse riposando dopo un gigantesco sforzo. Era evidente a cosa fosse stata indirizzata la sua fatica, ché a terra giacevano corpi e corpi insanguinati di civili dei due sessi e le finestre dei palazzi tutt’attorno alla piazza erano in frantumi, mentre i muri mostravano profonde sbrecciature. Si poteva capire, dalla vista d'un fuori strada Kübelwagen semidistrutto ancor fumante e di quattro cadaveri carbonizzati, uno dentro e tre a terra, che indossavano gli elmetti della Wehrmacht, divenuti neri, che la ritorsione del carro tedesco era seguita a un attacco con molotov contro la camionetta:

      Al momento dell'assalto al Kübelwagen, il Panther stava perlustrando la vicina strada del Formale. Il suo equipaggio aveva udito due esplosioni, a distanza d’un paio di secondi l’una dall’altra, e il capo carro, un maresciallo di carriera di nome Konrad Müller, aveva capito da quale direzione fossero giunte. Su suo ordine, il mezzo s’era diretto verso piazza Carità. Quand’erano giunti, i carristi avevano trovato i resti dei loro quattro camerati e della camionetta e nessuna persona sulla piazza, ché dopo aver lanciato due bottiglie incendiarie, di cui una giunta a segno, gli attentatori erano fuggiti mentre i residenti s’erano riparati nelle case e nei negozi, serrandone i portoni e le saracinesche. Il sottufficiale aveva ordinato senza remore di mitragliare le facciate degli edifici tutt’attorno ad altezza d’uomo e, mentre le sue MG crepitavano, aveva chiesto via radio disposizioni al Comando. Gli era stato ordinato di far vendetta rastrellando civili, dieci per ogni tedesco ucciso, e fucilarli sul posto. Il caporale vice comandante del Panther e due carristi erano scesi armati di mitra MP80 e bombe a mano modello 24 e avevano lanciato queste granate contro serrande e portoni, uccidendo o ferendo chi s’era riparato dentro. Il maresciallo Müller, in uno stentato italiano, aveva ordinato per altoparlante d'uscire dalle case, ché se no tutte sarebbero state colpite coi loro residenti a colpi di cannone; aveva promesso che se gli stessi si fossero presentati ordinatamente alla sotto squadra tedesca, sarebbero stati solo interrogati e poi lasciati liberi. Erano state così adunate quarantadue persone, due in più del decuplo dei morti tedeschi. Tuttavia, nonostante il caporale avesse comunicato al capo carro, che intanto s'era affacciato dalla torretta, l’esubero di rastrellati, la misura era stata valutata consona dal superiore, nazista convinto anche se non SS, il quale aveva ordinato di “giustiziarli” tutti. Quei civili inermi erano stati abbattuti a raffiche di mitra. Risaliti i carnefici sul loro panzer, il maresciallo aveva comandato ai mitraglieri di riprendere a sparare tutt’attorno, stavolta mirando ai piani alti. Le raffiche terroristiche erano andate avanti per molti minuti mentre quel razzista di Konrad Müller pronunciava con odio, esprimendosi nel suo dialetto bavarese, espressioni che in italiano sarebbero suonate così: “Italiani di merda! Bastardi traditori! Razza di porci!”

      Il drago d'acciaio stava per riprendere il suo pattugliamento per le vie quand’era sopraggiunto il mezzo blindato di altri italiani di merda. Questo era di molto inferiore al Panther tanto per corazzatura che per potenza di fuoco. Il maresciallo Bennato poteva solo tentare una rapida marcia indietro, nella debolissima speranza che il nemico avesse altri ordini da eseguire subito e non si buttasse all’inseguimento: aveva frenato di botto, senza bisogno di riceverne il comando, innestato la retromarcia e dato gas, mentre i sei patrioti appiedati, vedendo l’autoblindo iniziare a retrocedere, s’erano ritirati precedendola nell'arretramento. Il mezzo era però riuscito a infilarsi in via Battisti solo per una parte della lunghezza, perché il motore s’era ingolfato e spento per la manovra convulsa, e il blindato s’era fermata col muso ancor esposto al nemico.

      Contrariamente alla fievole speranza italiana, invece di riprendere il pattugliamento per Napoli il comandante del Panther aveva deciso di distruggere il mezzo ribelle e aveva ordinato al cannoniere di puntare ad alzo zero contro la prua nemica.

      Vittorio, intravista dalla feritoia la torretta del carro prendere a ruotare indirizzando la bocca da fuoco all'autoblindo, aveva urlato ai suoi d’abbandonare il mezzo e imboscarsi negli anditi di via Battisti e, nel dare l’ordine, egli stesso s’era diretto al portello, toccando terra per primo: avrebbe poi ragionato che, dopotutto, indugiare non sarebbe servito a far uscire più in fretta gli altri; in realtà era prevalso semplicemente in lui l’istinto di conservazione.

      Il colpo di cannone era rimbombato un istante dopo che il maresciallo Bennato, per ultimo, era balzato fuori. Il proietto era esploso preciso sulla parte esposta del mezzo cui il cannoniere aveva puntato. Per simpatia esplosiva era brillata anche la bomba anticarro Panzerwurfmine entro il Panzerfaust del granatiere, arma che fin a un momento prima era stata sulla sua spalla ma ch'egli aveva gettato per meglio fuggire. Il blindato italiano era stato scagliato indietro e incendiato, investendo e schiacciando i quattro patrioti più vicini, mentre fitte e grosse schegge si spandevano a raggiera devastando. Ne era rimasto ucciso il maresciallo Bennato che, colpito al collo da un rovente spezzone di lamiera, era morto sul colpo con la testa tranciata. Il granatiere era stato dilaniato dalla bomba Panzerwurfmine e dalle schegge del Panzerfaust, cui era stato ancor troppo vicino. Gli agenti Tertini e Pontiani, colpiti alla schiena da una gragnola di frammenti, erano morti minuti dopo, bocconi sul selciato. Se l’erano cavata solo il vice commissario, il brigadiere e la giovane donna, ch’erano riusciti a imbucarsi, appena un attimo prima dello scoppio, nel più vicino androne. Al contempo, a causa del violentissimo spostamento d’aria, i fatiscenti muri esterni di due vecchie palazzine, che s’ergevano ai lati dell’autoblindo, erano crollati trascinando con sé i residenti e seppellendoli a morte. Vittorio e i suoi due compagni avevano attraversato di corsa il cortiletto dove s’erano rifugiati e, di séguito, passando sotto un arco trasversale a un muro, erano entrati nella corte d’un altro caseggiato. Qui la giovane, che già aveva buttato il mitragliatore MG all’inizio della precipitosa ritirata, s’era disfatta dei nastri di munizioni portati a bandoliera e stava per gettare pure la borsa con la radio, ma Vittorio gliel’aveva presa e, senza parole, l’aveva messa ad armacollo al brigadiere: “Ci potrebbe servire”, aveva detto. Il trio era riuscito, passando circospetto da corte a cortile, da cortile a cavedio, da cavedio a corte, a sboccare in via del Chiostro, sgombra di tedeschi, che terminava e termina ancor oggi nella via Monteoliveto, dove abitava la ragazza. Appunto a casa propria ella intendeva rifugiarsi. I due poliziotti contavano invece di raggiungere via Medina, consecutiva a via Monteoliveto, oltre l’incrocio col corso Umberto I, e di tornare in Questura.

      Vittorio aveva fatto capolino su via Monteoliveto e aveva lanciato un’occhiata a sinistra e una a destra. Aveva scorto con disappunto, non lontano alla sua destra alla confluenza della via nel corso Umberto I, un posto di blocco d’un plotone di Waffen25 SS dotato di camionette, di motocarrozzette e d’un cannone caccia-carri semovente da 47 millimetri Panzerjäger, antiquato СКАЧАТЬ