I divoratori. Annie Vivanti
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Название: I divoratori

Автор: Annie Vivanti

Издательство: Public Domain

Жанр: Любовно-фантастические романы

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СКАЧАТЬ strada per le vie notturne, ripetendo come in sogno le cinque magiche parole: « Londra – in maggio – dodici rappresentazioni! » – Ed era marzo!

      – Basta! – pensava Antonio, – in qualche modo vivrò durante questi atroci due mesi. Aber fragt mich nur nicht wie, – aggiunse tra sè; perchè sapeva abbastanza il tedesco per poter citar Heine nell'originale. Aveva anche letto la « Jungfrau von Orleans » per poterne parlare con la Villari quando studiava quella parte. La Villari amava discutere le sue parti con lui e si divertiva a provare su di lui gesti ed atteggiamenti che le dovevano poi servire in teatro. Egli non se ne avvedeva, e vibrava a tutte le fantasticherie di lei come vibra un violino che si tiene tra le mani, al suono d'un altro violino. Quando ella imparava la « Maria Stuarda » egli fremeva tutto di eroiche aspirazioni. Egli si sentiva trasformato in Roberto Dudley e sognava una vita eroica e un'epica morte.

      Quando Nunziata si preparava ad interpretare « Clorinda », studiandosi di adottare linea e posa di quella celebre avventuriera, Antonio fu d'un tratto scettico e corrotto, e per tre settimane suo padre tremò e soffrì, vedendolo passar le notti fuori di casa, e udendo dire che giocava come un forsennato alla « Patriottica ». E fu peggio quando la Villari studiò la « Messalina » assumendone, per esercitarsi, le teorie e le attitudini. Antonio ebbe allora un periodo di estrema demoralizzazione e di completo pervertimento. Ma durante le sei settimane in cui Nunziata cinse la sua mente dei candidi lini della « Samaritana », egli ridiventò spirituale e puro, rinunziò alla Patriottica, al gioco, alle notti scarlatte, e andò ogni mattina alla prima Messa in Duomo.

      – Che strano figliolo siete voi! – gli disse la Villari. – Uno di questi giorni farete qualche grande sciocchezza. – Poi soggiunse, materna: – Perchè non lavorate?

      – Non lo so, – replicò Antonio. – Forse perchè vivo in un ambiente falso. Non si ha tempo di far nulla. Dopo la trottata della mattina, è ora di colazione; e dopo colazione si legge, si fuma, si esce; poi è l'ora delle visite: la marchesa Dina vi aspetta ogni lunedì, la Navarro ogni martedì, la Della Rocca ogni mercoledì… e così via. Poi è l'ora di pranzo, e l'ora del teatro, e l'ora di andar a letto. Et voilà!

      – Peccato! – disse la Villari, benevolmente materna, scordando per il momento di essere Messalina o Francesca o Fedora. – Non avete carattere. Siete buono; siete decorativo; non siete stupido. Ma avete, come si potrebbe dire, il naso fatto di pasta frolla, di pasta frolla cruda, che ognuno può prendere e far girare in qua e in là. Ahimè! Voi soffrirete molto; o farete molto soffrire. Ah sì, certo, farete soffrire… I nasi di pasta frolla, – soggiunse Nunziata gravemente, – sono fonti di pianto.

      Lo zio Giacomo non era uno che avesse il naso di pasta frolla. Quindi, per quanto odiasse i viaggi, per quante cose perdesse nei treni e dimenticasse sui battelli, e per quanto la sua presenza fosse pressochè indispensabile nel suo studio dove si ammucchiavano progetti e disegni di ponti ed edifici, tuttavia egli aveva deciso di partire e partirebbe. Spedì sua figlia Clarissa, una personcina briosa e disinvolta, in un collegio a Bruxelles; disse addio alla sorella Carlotta e alla nipote Adele – e affannato e incollerito si arrampicò nel treno di Chiasso, seguito dall'imperturbabile Antonio.

      Anzi Antonio pareva rallegrarsi del viaggio a tal punto, che suo padre, appena in treno, si chiedeva rabbiosamente perchè diamine fossero partiti! Che la storia narratagli da Adele riguardo all'infatuazione di Antonio per l'attrice fosse tutta una fandonia? Già le donne esagerano sempre! In ispecie Adele…

      Giacomo osservava con ira crescente suo figlio.

      Antonio dormiva, mentre lui stava sveglio. Antonio mangiava, mentre lui aveva nausea. Giunti a Folkestone, Giacomo, che non sapeva d'inglese che « rosbif » e « The Times », era frastornato e affranto. Ma Antonio, ilare e baldo, arricciandosi i baffetti, faceva occhi lunghi e languidi alle ragazze inglesi, che con rapido sorriso lo guardavano, e poi passavano in fretta, fingendo di non averlo veduto.

      VI

      A Charing Cross Valeria e Edith, graziose, snelle e timide, li aspettavano.

      Valeria, alla vista del suo vecchio zio Giacomo, gli si gettò con latina espansività tra le braccia; mentre la anglosassone Edith, bionda e rigidetta, cercava di non vergognarsi troppo delle voci alte e degli abbracci senza ritegno che prodigavano i nuovi arrivati, incuranti della gente che li guardava sorridendo.

      Più tardi, quando furono tutti e quattro installati nel treno che li portava a Wareside, nell'Hertfordshire, Edith si abbandonò interamente al piacere di osservare i gesti dello zio Giacomo e gli occhi del cugino Antonio, che Valeria chiamava « Nino ». Egli disse ad Edith che lo chiamasse Nino anche lei, e le parlò in una lingua che egli chiamava « banana-english ».

      Ed egli era così divertente che Edith rise e rise, finchè le venne la tosse, e tossì e tossì fino alle lagrime. Allora tutti dissero che non si riderebbe più. Fu un viaggio delizioso.

      Quando il treno si fermò alla placida stazione campestre di Wareside, scesero e trovarono la signora Avory colla piccola Nancy ed il nonno ad aspettarli.

      E vi furono nuovi saluti e nuovi abbracci. E quando, in due carrozze, arrivarono al portico della Casa Grigia, ecco sul limitare anche Fräulein Müller ad accoglierli, tutta rossore e ritrosia, col suo vocabolario italiano sotto il braccio.

      Presero il thè molto allegramente, tutti parlavano in una volta, anche il vecchio nonno, che continuava a domandare: « Ma chi è questa gente? Ma chi sono queste persone? » rivolgendo la sua domanda soprattutto allo zio Giacomo, il quale, del resto, non comprendendo una parola d'inglese, gli sorrideva, rispondendo: « Yes. »

      Verso sera la piccola Nancy, eccitata e piangente, dovette essere mandata a letto; e anche la signora Avory si ritirò col mal di capo. Ma Fräulein sostenne una conversazione animata collo zio Giacomo; e Nino sedette al pianoforte e cantò delle canzoni napoletane a Valeria ed Edith, che tenendosi abbracciate coi visi vicini, lo ascoltavano rapite.

      Seguirono giornate incantevoli; giornate di tennis e di golf, di croquet e di « garden-parties », con le belle ragazze dello Squire e gli impacciati figli del Vicar. La signora Avory vedeva appena alla sfuggita Valeria ed Edith, che uscivano correndo la mattina, e rientravano in fretta e furia a cambiarsi le vesti e a prendere racchette o « golf-sticks ».

      Lo zio Giacomo frattanto girellava pel giardino, con la Fräulein, dandole dei consigli sul modo di coltivare i pomodori, e meravigliandosi che gli inglesi non mangiassero mai maccheroni.

      – Nè « Knoedel », – diceva Fräulein.

      – Nè risotto, – diceva lo zio Giacomo.

      – Nè « Leberwurst », – diceva Fräulein.

      – Nè cappelletti al sugo, – diceva lo zio Giacomo. E a tale pensiero egli si sentiva struggere di nostalgia.

      Un giorno anche Valeria ebbe un accesso di nostalgia, di nostalgia acuta e straziante. Era precisamente il giorno del torneo di tennis – una giornata d'oro e d'azzurro che rammentava l'Italia. Nino, guardando Edith, le aveva detto:

      – Il cielo è un plagiario. Ha copiato sfrontatamente il colore degli occhi di Edith… Non ti pare, Valeria?

      E Nino, rivolto alla cugina, aspettava sorridendo la risposta.

      – Sì, – rispose Valeria.

      – Sono occhi che ricordano il lago di Como, – aveva continuato Nino. – Che limpidezza azzurrina!… Non è vero, Valeria?

      – Sì, è vero, – disse Valeria.

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