I divoratori. Annie Vivanti
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Название: I divoratori

Автор: Annie Vivanti

Издательство: Public Domain

Жанр: Любовно-фантастические романы

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СКАЧАТЬ farò guarire io, – diss'ella ridendo alla signora Avory e a Edith.

      L'estate era splendida; e la sposina usciva molto a far lunghe passeggiate e gite in montagna; e la sera cantava in tutte le feste e i concerti, perchè aveva una voce limpida e chiara, tutta trilli e gorgheggi come quella di un'allodola. Nelle ore del riposo stava sulla terrazza accanto a suo marito e vicino a Edith (poichè egli aveva ripreso il suo antico posto); ma dopo un po', la bella biondina si stancava di star lì; baciava in fronte suo marito e scappava a far delle visite, o andava in carrozza a Klosters; o studiava qualche romanza nuova.

      I lucenti occhi azzurri di Klasen la seguivano; e la russa, dal suo giaciglio, lo guardava, leggendogli in volto i pensieri. Essa leggeva: « Ho preso moglie per non essere più solo – solo col mio male e il mio terrore, nel giorno e nella notte. Ma sono ancora solo. Quando mia moglie è con me, se io tosso, ella dice: « Povero tesoro! » E quando di notte soffoco e sudo, essa, nel sonno, sospira: « Povero tesoro! ». Poi si volta dall'altra parte e dorme. E io sono solo, col mio male e il mio terrore ». E alla russa pareva di vedere che gli occhi di Klasen ardessero di una luce che non era tutta amore.

      Dopo qualche tempo la sposina cantò meno e fece meno visite.

      Disse che era calata di peso; e un giorno andò con suo marito dal dottore. Sì… infatti… qualche cosa c'era – oh, una cosa da niente! – all'apice del polmone sinistro.

      Così venne posta anche per lei una seggiola a sdraio sulla terrazza, accanto a quella di suo marito; e anche lei nel pomeriggio riposava con una coltre intorno, e un parasole sul capo.

      Fritz teneva stretta la manina su cui brillava ancora nuovo l'anello nuziale; e quando lei tossiva, era lui che diceva: « Povero tesoro »! E non era più solo. Durante il giorno i due ridevano ed erano allegri; e di notte Fritz dormiva meglio. Ma sua moglie restava sveglia, e pensava alla sorellina e ai suoi due fratelli che erano a casa, sani e salvi, col papà e la mamma.

      Talvolta, e specialmente d'inverno, arrivavano a Davos dei turisti e degli amanti di sport per restarvi una quindicina o un mese. La signora Avory notava che questi ridevano molto meno degli ammalati.

      E Fritz Klasen diceva:

      – Guardate un po' come esagerano lo sport, pattinaggio, ski, « bobsleigh », « curling »! Si logorano, si affaticano! Sì, sì, – aggiungeva piano a sua moglie e a Edith, – quasi tutti quelli che vengono qui come « sportsmen » ci tornano poi come ammalati. – E il suo risolino faceva rabbrividire Edith.

      La sposina talvolta sussurrava al marito:

      – Guarda, guarda, Fritz! altri due, arrivati oggi!

      – Ma forse sono turisti?

      – No, no! sono ammalati… – E negli occhi giovanili che si volgevano ai nuovi venuti, non v'era dolore.

      Caddero, uno dietro l'altro, i giorni, come goccie stillanti, lente, limpide, uguali. Fluirono i mesi. Svanirono gli anni. Ed Edith li varcò con passo leggiero e sempre più leggiero. Ma ancora e sempre il desiderio di rivedere Nancy le mordeva, con dente avvelenato, il cuore. Ogni ora della sua giornata era amareggiata dallo struggimento di udire quella voce trillante e puerile, di sentire nella sua il tocco di quella tiepida manina. Pensava: « Se io morissi, Valeria permetterebbe a Nancy di dirmi addio! ». Poi pensava: « Ma se Nancy venisse, io guarirei. Adesso non posso mangiare, perchè ho sempre voglia di piangere… ma se Nancy fosse qui, non piangerei. Andrei a passeggio con lei, e mi verrebbe fame. E se potessi mangiare, lo so che guarirei. Nancy! Nancy! Nancy!… »

      Ma Nancy era in Italia in casa della zia Carlotta e della cugina Adele; e nemmeno le lettere di Edith le venivano date, perchè su quei poveri fogli si era chinata Edith – Edith, di cui l'affetto, di cui il tocco, di cui l'alito, era veleno.

      Nancy parlava italiano e scriveva versi italiani. Usciva a passeggio con Adele; ed era Adele che teneva la morbida manina, che udiva il trillo della voce puerile. Era Adele che imponeva il silenzio in casa, e faceva aspettare i pasti quando Nancy componeva. E quando Nancy aggrottava le sopracciglia, passandosi una mano sulla fronte con quel rapido gesto che le era famigliare, Adele rideva; e la sua squillante risata milanese faceva prendere il volo a tutte le farfalle della fantasia! Adele metteva ordine nelle cose di Nancy, e aveva buttato via le primole disseccate che Nancy aveva colte con Edith nei boschi dell'Hertfordshire. E la fila di perline azzurre che Edith le aveva messo al collo il giorno che era partita per Davos, Adele l'aveva regalata alla figlia del portinaio. Aveva anche stracciato le poesie scritte dalla piccola Nancy in Inghilterra, perchè, tanto, erano vecchie cose che nessuno capiva!

      E così fluirono i mesi, svanirono gli anni: ed Edith passò fuori dalla memoria di Nancy. Pianamente, mitemente, con passo leggiero, la dolce virginea figura uscì dal suo ricordo, e si dileguò. Poichè fanciulli e poeti sono immemori ed egoisti. E un fanciullo che è poeta, è doppiamente egoista e doppiamente immemore.

      Quando Nancy ebbe quindici anni, una casa editrice milanese accettò il suo primo libro: un ciclo di liriche. La posta che portò le prime bozze di stampa alla giovanissima poetessa, portò anche una lettera, listata di nero, dalla Svizzera per sua madre.

      – Mamma, – gridò Nancy togliendo dalla larga busta i fogli stampati e facendoli trionfalmente sventolare; – guarda! Ma guarda, mamma, le bozze! Questo è il mio libro! pensa che è il mio libro! – E la fanciulla, chinando il viso sui sciolti fogli li baciò.

      Valeria aveva aperta la lettera listata di nero, ed ora la contemplava pallida, con gli occhi inondati di pianto.

      – E' morta Edith, – disse con voce tremante.

      – Oh, poveretta! – esclamò Nancy. – Che dispiacere! Non piangere, non piangere, mamma adorata! – E baciò leggermente i capelli di sua madre. Poi si rivolse alle bozze, e trepida e solenne ne voltò la prima pagina.

      – E' morta giovedì mattina, – singhiozzò Valeria. – Oh, Nancy, Nancy! E tu non sai come ti amava.

      No, Nancy non sapeva.

      Nè udiva più sua madre. Davanti a lei stava la sua prima poesia stampata. La striscia dei brevi versi in mezzo al largo foglio bianco, le pareva un sentiero…

      E via per questo fantastico sentiero Nancy s'avviò, con occhi stellanti e mattutini, là dove il richiamo dell'amore o della morte non le giungeva più – guidando l'allucinante turba dei suoi sogni verso le lande favolose dell'immortalità.

      XII

      Così Valeria vide esaudito il suo voto. Sua figlia era un genio. E un genio riconosciuto e glorificato come solo i paesi latini glorificano e riconoscono i proprii grandi. Nancy passò dal soave crepuscolo della puerizia all'abbagliante clamore della celebrità. Gli inesperti suoi passi tremarono sulle vette. E il giovane capo le fu cinto di splendori. Fu intervistata e citata, imitata e tradotta, invidiata e adorata. Aveva più innamorati che una prima ballerina, e più nemici che un primo ministro.

      Al ben ordinato appartamento in via Durini, non veniva più la gente mitemente frivola che alla zia Carlotta piaceva. No. La casa era sempre piena di poeti. Poeti che restavano a pranzo, che suonavano il pianoforte, che parlavano sempre di sè stessi ad altissima voce e che trattavano lo zio Giacomo come se fosse il portinaio.

      Sedevano intorno a Nancy e le leggevano i loro versi. E le critiche dei loro versi. E le loro risposte alle critiche dei loro versi. V'erano dei tempestosi poeti con barbe in punta; dei fortunati poeti coi baffi all'insù; dei cupi poeti non stampati; e dei poeti negligenti che si lavavano poco.

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