Decameron. Giovanni Boccaccio
Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Decameron - Giovanni Boccaccio страница 17

Название: Decameron

Автор: Giovanni Boccaccio

Издательство: Public Domain

Жанр: Зарубежная классика

Серия:

isbn:

isbn:

СКАЧАТЬ Marchese e a Stecchi piacque il modo: e senza alcuno indugio usciti fuor dell’albergo, tutti e tre in un solitario luogo venuti, Martellino si storse in guisa le mani, le dita e le braccia e le gambe e oltre a questo la bocca e gli occhi e tutto il viso, che fiera cosa pareva a vedere; né sarebbe stato alcuno che veduto l’avesse, che non avesse detto lui veramente esser tutto della persona perduto e ratratto. E preso, così fatto, da Marchese e da Stecchi, verso la chiesa si dirizzarono in vista tutti pieni di pietà, umilemente e per l’amor di Dio domandando a ciascuno che dinanzi lor si parava che loro luogo facesse, il che agevolmente impetravano; e in brieve, riguardati da tutti e quasi per tutto gridandosi «Fa’ luogo! fa’ luogo!», là pervennero ove il corpo di santo Arrigo era posto; e da certi gentili uomini, che v’erano da torno, fu Martellino prestamente preso e sopra il corpo posto, acciò che per quello il beneficio della santà acquistasse. Martellino, essendo tutta la gente attenta a veder che di lui avvenisse, stato alquanto, cominciò, come colui che ottimamente fare lo sapeva, a far sembiante di distendere l’uno de’ diti e appresso la mano e poi il braccio, e così tutto a venirsi distendendo. Il che veggendo la gente, sì gran romore in lode di santo Arrigo facevano, che i tuoni non si sarieno potuti udire.

      Era per avventura un fiorentino vicino a questo luogo, il quale molto bene conoscea Martellino, ma per l’esser così travolto quando vi fu menato non l’avea conosciuto; il quale, veggendolo ridirizzato e riconosciutolo, subitamente cominciò a ridere e a dire: «Domine fallo tristo! Chi non avrebbe creduto, veggendol venire, che egli fosse stato attratto da dovero?»

      Queste parole udirono alcuni trivigiani, li quali incotanente il domandarono: «Come! non era costui attratto?»

      A’ quali il fiorentin rispose: «Non piaccia a Dio! Egli è stato sempre diritto come qualunque è l’un di noi, ma sa meglio che altro uomo, come voi avete potuto vedere, far queste ciance di contraffarsi in qualunque forma vuole.»

      Come costoro ebbero udito questo, non bisognò più avanti: essi si fecero per forza innanzi e cominciarono a gridare: «Sia preso questo traditore e beffatore di Dio e de’ santi, il quale, non essendo attratto, per ischernire il nostro santo e noi, qui a guisa d’atratto è venuto!» E così dicendo il pigliarono e giù del luogo dove era il tirarono, e presolo per li capelli e stracciatili tutti i panni indosso gl’incominciarono a dare delle pugna e de’ calci; né parea a colui essere uomo che a questo far non correa. Martellin gridava «Mercé per Dio!» e quanto poteva s’aiutava, ma ciò era niente: la calca gli multiplicava ognora addosso maggiore.

      La qual cosa veggendo Stecchi e Marchese cominciarono fra sé a dire che la cosa stava male, e di se medesimi dubitando non ardivano a aiutarlo, anzi con gli altri insieme gridando ch’el fosse morto, avendo nondimeno pensiero tuttavia come trarre il potessero delle mani del popolo; il quale fermamente l’avrebbe ucciso, se uno argomento non fosse stato il qual Marchese subitamente prese: che, essendo ivi di fuori la famiglia tutta della signoria, Marchese, come più tosto poté, n’andò a colui che in luogo del podestà v’era e disse: «Mercé per Dio! Egli è qua un malvagio uomo che m’ha tagliata la borsa con ben cento fiorin d’oro; io vi priego che voi il pigliate, sì che io riabbia il mio.»

      Subitamente, udito questo, ben dodici de’ sergenti corsero là dove il misero Martellino era senza pettine carminato, e alle maggiori fatiche del mondo, rotta la calca, loro tutto pesto e tutto rotto il trassero delle mani e menaronnelo a palagio; dove molti seguitolo che da lui si tenevano scherniti, avendo udito che per tagliaborse era stato preso, non parendo loro avere alcuno altro più giusto titolo a fargli dare la mala ventura, similmente cominciarono a dir ciascuno da lui essergli stata tagliata la borsa. Le quali cose udendo il giudice del podestà, il quale era un ruvido uomo, prestamente da parte menatolo sopra ciò lo ’ncominciò a essaminare. Ma Martellino rispondea motteggiando, quasi per niente avesse quella presura: di che il giudice turbato, fattolo legare alla colla, parecchie tratte delle buone gli fece dare con animo di fargli confessare ciò che color dicevano, per farlo poi appiccar per la gola.

      Ma poi che egli fu in terra posto, domandandolo il giudice se ciò fosse vero che coloro incontro a lui dicevano, non valendogli il dir di no, disse: «Signor mio, io son presto a confessarvi il vero, ma fatevi a ciascun che m’accusa dire quando e dove io gli tagliai la borsa, e io vi dirò quello che io avrò fatto e quel che no.»

      Disse il giudice: «Questo mi piace»; e fattine alquanti chiamare, l’un diceva che gliele avea tagliata otto dì eran passati, l’altro sei, l’altro quatro, e alcuni dicevano quel dì stesso.

      Il che udendo Martellino disse: «Signor mio, essi mentono tutti per la gola! e che io dica il vero, questa pruova ve ne posso fare: che così non fossi io mai in questa terra entrato come io mai non ci fui se non da poco fa in qua; e come io giunsi, per mia disaventura andai a veder questo corpo santo, dove io sono stato pettinato come voi potete vedere; e che questo che io dico sia vero, ve ne può far chiaro l’uficial del signore il quale sta alle presentagioni e il suo libro e ancora l’oste mio. Per che, se così trovate come io vi dico, non mi vogliate a instanzia di questi malvagi uomini straziare e uccidere.»

      Mentre le cose erano in questi termini, Marchese e Stecchi, li quali avevan sentito che il giudice del podestà fieramente contro a lui procedeva e già l’aveva collato, temetter forte, seco dicendo: «Male abbiam procacciato; noi abbiamo costui tratto della padella e gittatolo nel fuoco.» Per che, con ogni sollecitudine dandosi attorno e l’oste loro ritrovato, come il fatto era gli raccontarono; di che esso ridendo, gli menò a un Sandro Agolanti, il quale in Trivigi abitava e appresso al signore aveva grande stato; e ogni cosa per ordine dettagli, con loro insieme il pregò che de’ fatti di Martellino gli tenesse.

      Sandro, dopo molte risa, andatosene al signore impetrò che per Martellino fosse mandato; e così fu. Il quale coloro che per lui andarono trovarono ancora in camiscia dinanzi al giudice e tutto smarrito e pauroso forte, per ciò che il giudice niuna cosa in sua scusa voleva udire; anzi, per avventura avendo alcuno odio ne’ fiorentini, del tutto era disposto a volerlo fare impiccar per la gola e in niuna guisa rendere il voleva al signore, infino a tanto che costretto non fu di renderlo a suo dispetto. Al quale poi che egli fu davanti, e ogni cosa per ordine dettagli, porse prieghi che in luogo di somma grazia via il lasciasse andare, per ciò che infino che in Firenze non fosse sempre gli parrebbe il capestro aver nella gola. Il signore fece grandissime risa di così fatto accidente; e fatta donare una roba per uomo, oltre alla speranza di tutti e tre di così gran pericolo usciti, sani e salvi se ne tornarono a casa loro.

      NOVELLA SECONDA

      Rinaldo d’Asti, rubato, capita a Castel Guiglielmo e è albergato da una donna vedova; e, de’ suo’ danni ristorato, sano e salvo si torna a casa sua.

      Degli accidenti di Martellino da Neifile raccontati senza modo risero le donne, e massimamente tra’ giovani Filostrato; al quale, per ciò che appresso di Neifile sedea, comandò la reina che novellando la seguitasse. Il quale senza indugio alcuno incominciò.

      Belle donne, a raccontarsi mi tira una novella di cose catoliche e di sciagure e d’amore in parte mescolata, la quale per avventura non fia altro che utile avere udita; e spezialmente a coloro li quali per li dubbiosi paesi d’amore sono caminanti, ne’ quali chi non ha detto il paternostro di san Giuliano spesse volte, ancora che abbia buon letto, alberga male.

      Era adunque, al tempo del marchese Azzo da Ferrara, un mercatante chiamato Rinaldo d’Asti per sue bisogne venuto a Bologna; le quali avendo fornite e a casa tornandosi, avvenne che, uscito di Ferrara e cavalcando verso Verona, s’abbatté in alcuni li quali mercatanti parevano, e erano masnadieri e uomini di malvagia vita e condizione, con li quali ragionando incautamente s’accompagnò. Costoro, veggendol mercatante e estimando lui dovere portar denari, seco diliberarono che, come prima tempo si vedessero, di rubarlo: e per ciò, acciò che egli niuna suspeccion prendesse, come uomini modesti e di buona condizione pure d’oneste cose e di lealtà andavano con lui favellando, rendendosi in ciò che potevano e sapevano umili e СКАЧАТЬ